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Zaniolo: “L’esordio al Bernabeu? Ero paralizzato. Alla prima chiamata dell’Italia sono scoppiato a piangere”

Parla il numero 22

Nicolò Zaniolo, trequartista della Roma, ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni di Dazn:

Manca qualcosa nella tua descrizione di Wikipedia?
“Diciamo che su ‘falso nueve’ ci devo ancora lavorare però per il resto siamo sulla buona strada”.

In pochissimo tempo hai fatto vedere tantissime cose. Sapevi di saper fare tutte quelle cose lì?
“Speravo di farle. Le mie caratteristiche le sapevo. Sapevo di poterle fare ma non in così poco tempo”.

Ti sei sempre definito trequartista.
“Io da trequartista mi sono sempre divertito giocando perché quando vado in campo la prima cosa penso a giocare e divertirmi, e da trequartista ci riesco meglio. Posso fare anche al mezzala come l’esterno per le caratteristiche che ho. Non mi vedo ancora in un ruolo definito perché mi devo definire come calciatore”.

Balzaretti ha detto che sei talmente forte che ti metterebbe in qualsiasi posizione di campo ma secondo lui da interno di centrocampo puoi essere uno dei più forti al mondo.
“Federico l’anno scorso mi ha aiutato molto ad integrarmi. Mi è sempre stato vicino e devo ringraziarlo tantissimo perché mi ha dato molti consigli. Ci sono anche dei difetti che devo migliorare tipo il piede debole o la scelta nell’ultimo passaggio. Mi ci rivedo in queste cose perché le sto dimostrando e spero di continuarle a dimostrare”.

Ti mostro il cartellino di quando eri bambino.
“Questa è la prima foto che ho fatto per il cartellino. Qui mi sembra che giocavo nel Canaletto. L’anno dopo sono andato nel settore giovanile dello Spezia dove c’era l’iscrizione. Dopo sono tornato a Canaletto un anno e poi al Genoa, ma per motivi logistici non mi potevano trasportare con il pulmino e ho dovuto cambiare. Sono andato alla Fiorentina dove c’era la possibilità di andare da La Spezia a Firenze con il pulmino e l’ho fatto per tre anni. Mi ricordo che uscivo 10 minuti prima da scuola e all’una e dieci avevo il pulmino da Carrara per Firenze, tornavo a casa alle 9 di sera. A 14 anni poi mi sono trasferito a Firenze in convitto con le persone che venivano da lontano”.

Hai sempre pensato di fare il calciatore?
“Nella mia carriera calcistica, soprattutto nel settore giovanile, non sono mai stato uno di punta, non visto come uno che doveva arrivare. Sono sempre stato piccolo fisicamente, dovevo entrare nella fase dello sviluppo e quando la Fiorentina mi ha detto che non potevo stare più lì per motivi tecnici sono andato via ma con lo stesso entusiasmo e voglia di giocare a calcio. Sono andato all’Entella dove ho trovato più spazio e persone che credevano in me”.

L’Entella è stato un all-in perché se non fosse andato bene lì non saresti come oggi.
“Sono arrivato a preparazione quasi finita. Ero al bar di mio papà e nelle prime quattro partite non avevo giocato. Mi ero messo a piangere dicendo a mio padre che se non avessi giocato lì avrei dovuto cambiare sport o dedicarmi ad altro. Mi sono detto che magari le qualità non c’erano. Mio padre mi ha detto di provare a fare l’ultima settimana a mille, senza avere rimorsi e io l’ho fatta. Da quella partita ho iniziato a giocare e non sono più uscito”.

L’esordio in Serie B?
“Eravamo a Benevento. Erano due-tre settimane che il mister Breda mi parlava e mi diceva che mi stavo allenando bene e che dovevo continuare così. Diciamo che era nell’aria ma non me lo aspettavo a Benevento perché era una partita delicata, contro una squadra forte. Eravamo 0-0 e il mister all’80’ mi ha detto di andarmi a scaldare perché dopo 5 minuti sarei entrato. Ho fatto gli scatti più veloci della mia vita. Da lì è iniziato tutto”.

Debutto in Champions League con il Real Madrid e chiamata in Nazionale senza neppure una presenza in Serie A. Mi racconti quella settimana?
“Non ti nascondo che sapevo di giocare quella partita già dalla mattina, sono rimasto tutto il giorno a fissare il soffitto, incredulo. Sembravo paralizzato, ero stato al Bernabeu solo per una gita. Nel sottopassaggio non vedi il campo, vedevo solo accanto a me una muraglia di maglie bianche e gente come Ramos, Bale e Modric. Devi restare solo tranquillo e pensare che se il mister ti sta facendo giocare in un momento come quello vuol dire che te lo meriti ed ha visto qualcosa in te. Ho provato a dare il mio meglio e non è andata così male. La prima chiamata in Nazionale è stata poi un’altra sorpresa. Ero a cena con degli amici miei, a mangiare una pizza, vedo il mio nome nelle convocazioni e penso subito ad un errore. Poi la notizia continuava a girare ovunque e quindi ci ho sperato. La chiamata del team manager poi mi ha confermato la convocazione, dicendomi che dopo due giorni sarei dovuto andare a Coverciano e sono scoppiato subito a piangere. Ho chiamato mia mamma e mio papà e si sono messi a piangere anche loro. E’ stato un fine settimana perfetto, non ho dormito tutti e due i giorni. A Coverciano ero come un ragazzo al parco giochi. Ancora adesso non sto realizzando tutto quello che sto facendo. Forse è la mia forza, forse no. Io penso ogni giorno ad allenarmi, divertirmi e rendere orgogliosi i tifosi della Roma perché meritano tanto. Non guardo mai indietro ma solo avanti”.

Il gol con il Sassuolo come l’hai vissuto?
“Erano due o tre settimane che cercavo il primo gol. Avevo iniziato a giocare con continuità. Venivamo dalla partita contro il Cagliari in cui avevo avuto qualche occasione in cui potevo fare meglio e per tutta la settimana sono stato a pensare a quelle occasioni lì. Sono arrivato davanti alla porta con il Sassuolo e mi sono detto ‘Non posso più sbagliare’. Ho visto i due difensori che sono andati a terra e L’unico modo per farla passare era lo scavetto e ho provato quello. L’emozione è stata la più bella che per adesso ho vissuto. Non sapevo neanche come esultare, volevo levare la maglietta ma ero già ammonito e ci ho ripensato”.

Tuo padre ti ha chiesto del gol a fine partita vero?
“Dopo il primo goal in Serie A, quello del pallonetto contro il Sassuolo, mio padre mi ha detto ‘Come ti è venuto in mente di fare quello scavetto?’. Davanti al portiere così si tira, non si sta a vedere. È stato istinto puro perché non l’ho mai provato in allenamento. Prima di quel gol ero un ragazzino per i compagni, poi sono diventato un ragazzo. Mi ha aiutato ad integrarmi meglio nello spogliatoio però ero già integrato bene, i compagni mi hanno accolto subito come una famiglia”.

In romano che ti hanno detto Florenzi e Pellegrini di quel gol?
“I compagni romani, come Florenzi o Pellegrini, sono stati più schietti: ‘Ammazza che cazzo hai fatto’.”

Le critiche?
“Nella mia vita calcistica fino a questo momento ho avuto più delusioni che soddisfazioni, quindi magari le critiche mi sono sempre servite per dare qualcosa in più, per essere più forte. L’anno scorso c’è stato un periodo in cui si aspettavano tanto da me perché avevo fatto tanto e non riuscivo. Non mi sono mai abbattuto, sono sempre venuto al campo con il sorriso per dare al massimo e migliorare. Una piazza come Roma richiede tanto ed è giusto che ci siano state critiche se le prestazioni non erano all’altezza. Le critiche che mi sono state fatte mi hanno fortificato molto. Non nascono che non ci sono stato bene. Da essere osannato a criticato non è bello per un ragazzo di 20 anni ma ora ho le spalle un po’ più larghe anche se non larghissime. Ora come ora penso a giocare e divertirmi. Se c’è la prestazione buona meglio ma l’importante è far vincere la squadra”.

Qual è la prima competizione per Nazionale che ricordi?
“Il 2006. Ero in vacanza in Francia con la mia famiglia e quindi ho visto la partita con i francesi. Mangiavo al McDonald, c’era la partita proiettata là, ho visto il gol di Materazzi e ho esultato. Mi hanno guardato un po’ male”.

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