Il “Re è nudo”

Ennesimo scossone in casa Roma. Ma stavolta è diverso e la società dovrà fare i conti con una piazza in subbuglio.

18 settembre, 2024
“L’AS Roma comunica di aver sollevato Daniele De Rossi dall’incarico di allenatore responsabile della Prima Squadra”.
La mattina di mercoledì 18 settembre è iniziata così. A sancire la fine del rapporto lavorativo tra Daniele De Rossi e la Roma, un gelido comunicato affidato al sito ufficiale del club giallorosso. Da lì è partito il solito tam-tam. Tra amici, sui social, per le radio. A spadroneggiare, smarrimento e rabbia. Ma non incredulità. O almeno non per tutti.

Perché in realtà si tratta di un sinistro deja-vù.

Quanto accaduto mercoledì all’ex capitano romanista rievoca in modo inquietante il trattamento riservato a Josè Mourinho lo scorso gennaio.

Niente preavviso. Poche e asettiche parole, nessun saluto. Eclissi mediatica su immagini e menzioni.
Una damnatio memoriae a tutti gli effetti.

Ammesso che rientri pienamente nei diritti di una dirigenza esonerare un tecnico, ci mancherebbe, ma perché tanta perentorietà? Perché una decisione tanto tranchant da vestire i panni di un ludibrio?

Probabilmente la risposta dimora nel movente.

In entrambi i casi, Mourinho prima, De Rossi poi, il motore deliberativo non è alimentato da questioni puramente tecniche. O almeno non solo.

C’è dell’altro. C’è sempre qualcos’altro. Oggi come allora la sensazione è che si tratti di una sorta di ritorsione. Della rivalsa nei confronti di un oltraggio. Di una contesa personale.

Una fossa scavata lentamente, da tempi non sospetti, a colpi di malumori, casi mal gestiti e conflitti interni.

Ma se certe verità rimarranno occultate all’interno dei cancelli di Trigoria, altrettante sono tristemente lampanti. Su tutte, lo smarrimento di un canovaccio tecnico.

Perché non c’è niente di calcistico nell’ingaggiare uno dei tecnici più vincenti della storia, imbrigliarlo nei lacci del fair play finanziario e giustiziarlo in nome di una proposta di gioco più accattivante. Non c’è nulla di oculato nell’affidarsi a un giovane allenatore – nonché bandiera – con tante idee e poca esperienza, investire centinaia di milioni su un progetto apparentemente condiviso, per poi sabotarlo agli albori di una nuova stagione. Non c’è visione nel rivolgersi a un onesto e scorbutico mestierante di categoria come Ivan Juric, antitetica sintesi dei suoi due predecessori, suggerito dai soliti buoni uffici.

Tuttavia, la spietata conseguenza si traduce sempre in campo.

Una squadra di cui non si conoscono potenzialità e limiti reali in quanto sistematicamente deresponsabilizzata.

Perché, in fondo, cos’è la Roma oggi?

Quella delle cavalcate europee? Quella dei sesti posti? Quella che torna a volare con De Rossi salvo poi naufragare nuovamente nell’ennesimo disincanto?

Una volta perché l’allenatore è “bollito” e poco compiacente, un’altra perché acerbo. Ora, probabilmente, perché inadatto e gettato in corsa su una realtà aliena.

L’ennesimo alibi è servito.

Ma stavolta qualcosa è diverso. Perché De Rossi non andava umiliato. Aveva il diritto di fallire. Noi avevamo diritto di fallire con lui.
Per lo stesso motivo per cui è stato ingaggiato: perché è Daniele De Rossi.

Ma se di parafulmine si è trattato, ora il Re è nudo.
E non c’è fortino che possa ripararlo dalla tempesta.

Subscribe
Notificami
guest

16 Commenti
Inline Feedbacks
View all comments

Articoli correlati

Altre notizie