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Caso scommesse, Tommasi: “Vedo una difficoltà generale nel mondo dello sport”

Damiano Tommasi, ex calciatore della Roma, ha rilasciato un'intervista per Radio Serie A, su temi attuali come il calcio scommesse

Damiano Tommasi, ex calciatore della Roma e della Nazionale, ha rilasciato un’intervista per Radio Serie A. L’attuale sindaco di Verona si è esposto sul tema delle scommesse e del calcio in generale:

“Vedo una difficoltà generale nel mondo dello sport di non vivere quel ruolo di crescita umana che invece c’è.  Proprio perché c’è, quando accadono fatti che smentiscono il valore della persona che fa sport, il rimbombo è forte. Si ha l’impressione che chi è un campione nello sport lo sia inevitabilmente per altri valori e per altre scelte. Gli occhi di tanti ragazzi e di tante persone sono sui campioni e non sempre c’è una responsabilizzazione di questo ruolo. Perché, a proposito di scelte utilitaristiche, credo che su questo si faccia poco lavoro. Calciatori come Cafu, la differenza la facevano fuori dal campo. In campo erano fenomeni, ma chi era fenomeno davvero, era irraggiungibile anche fuori dal campo per scelte e spessore umano. Nella crescita, questa attenzione alle scelte viene poco considerata. Poi se ne pagano le conseguenze in fragilità e sicurezza, oltre che di continuità di risultati. Maldini, che per me è il miglior italiano di tutti i tempi, è stato il migliore per l’equilibrio umano che aveva. Si pensa che questo aspetto sia secondario, o che sia importante per chi non fa l’atleta. Sono convinto che il grande atleta si innesti sulla grande persona, spesso questo ruolo è affidato a genitori e insegnanti, qualche volta ad allenatori. Mazzone, ad esempio, è stato allenatore ed educatore e lo spessore che aveva ha fatto la differenza”.

Su Verona come possibile candidata ad ospitare partite di Euro 2032:
“È stata un’emozione essere in candidatura e poter pensare in grande per la nostra città. Le infrastrutture più importanti in città sono state fatte per Italia 90, sappiamo quanto i grandi eventi possano incidere nelle scelte amministrative e politiche di pianificazione della società. Non solo Verona, tante altre città italiane hanno l’occasione grazie ai grandi eventi di cambiare il volto di interi quartieri e dare soluzioni di riabilitazione. Stadio Bentegodi? Ad oggi non è adeguato ad ospitare partite di livello europeo, vanno fatti lavori: la nostra intenzione è di presentarsi con un progetto innovativo e che possa essere al di là del calcio, che possa dare alla città un’infrastruttura innovativa. Il tema stadi in Italia è delicato, vive da una parte del tema pubblico, perché la stragrande maggioranza degli impianti sono pubblici, a differenza degli altri paesi dove si è già passati alla proprietà privata. E poi, ci sono altri temi: difficoltà di progettazione, tempistiche e tante voci che si accavallano quando si aprono discussioni sulle grandi infrastrutture”.

L’Hellas Verona campione d’Italia è un sogno che si può fare solo una volta nella vita?
“Il calcio d’oggi ha apparentemente altre dinamiche, rende quasi impossibile alcuni sogni. Il Leicester di Ranieri qualche anno fa ha stravolto questa aspettativa, in un calcio, come quello inglese, tarato su un certo tipo di aspettative di risultato. Vincere così fa riflettere. Lo sport si gioca in un rettangolo verde, un campo di gara dove i soldi contano, le strategie di marketing idem, ma poi bisogna buttarla dentro”.

Da sindaco, come si gestisce la convivenza tra la città e la squadra di Serie A?
“I veronesi si riconoscono nella squadra. Il fatto di aver vinto ormai 40 anni fa è anche una semina che è stata fatta, c’è un mondo adulto ancora legato alla città. Basta andare indietro con gli anni e ricordare quando l’Hellas era in Serie C per capire il legame che c’è fra tifosi e squadra”.

Sul Chievo.
“È una triste pagina di Verona. La città non ha sfruttato a dovere la presenza in Serie A di due squadre. Non è da poco per una provincia avere un derby in Serie A, erano sicuramente due anime: una più passionale, una più familiare. Lo sport è sempre stato sottovalutato nel suo peso sociale: tante città hanno perso la loro squadra per dinamiche del genere, quello che ne consegue nella dimensione sportiva della città è che è un valore poco valutato quando è il momento di decidere per evitare eventuali problemi”.

Sul ruolo da Presidente dell’Associazione Italiana Calciatori:
“L’esperienza è stata bellissima, arrivava dopo Sergio Campana, unico presidente fino al 2011 e mantenere il suo livello di forza politica sportiva non era facile. La realtà dei calciatori è variegata, il ruolo ha come rappresentanza tutto il mondo dilettantistico, del beach soccer, del calcio a 5 e delle ragazze. Sono tanti i calciatori e le calciatrici rappresentate. La dicitura “sindacato” porta a temi che poco si addicono all’immaginario collettivo che si ha del calciatore. Ma se gli atleti fossero più nella cabina di regia delle scelte politiche e strategiche, lo sport sarebbe migliore. Lo dimostrano le leghe e i campionati dove il peso degli atleti è maggiore, come in NBA o in ATP. A volte ci sono scelte strategiche che l’atleta subisce, e gli atleti hanno voce in capitolo molto giovani. Non hanno la possibilità di formarsi fuori dal campo: noi abbiamo proposto corsi di formazione continua ai giocatori a fine carriera, e poi abbiamo allargato anche a quelli in attività e a quelli più giovani”.

Su Spalletti
“Mi ha richiamato lui a Roma. Confidava nel mio ruolo fuori dal campo, la mia testardaggine di voler avere un ruolo ancora in campo ha invece portato ad un contratto in un’annata che è stata preparatoria al mondiale vinto per molti compagni. Penso che sia Perrotta sia Totti abbiano giovato dall’essere allenati da Spalletti. È stata una bellissima annata, ho fatto un solo anno insieme con Spalletti ma siamo rimasti molto legati: lo stimo come persona, e penso sia un allenatore che insegni calcio”.

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