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Amarcord, 4 marzo 2018: muore Davide Astori. Il suo ricordo rimane indelebile nei cuori dei tifosi italiani

Quella maledetta mattina di un anno fa, Davide Astori ci lasciava. In silenzio, senza disturbare nessuno, come era nella sua natura. E’ una ferita che fa ancora male al calcio italiano

365 giorni senza Davide Astori, 365 giorni senza un esempio da prendere a modello in questo calcio moderno fatto di social e polemiche sterili, 365 senza un marito ed un papà. Quella terribile mattina del 4 marzo 2018 è ancora scolpita nel cuore di tutti: un fulmine a ciel sereno che ti scuote da dentro, una notizia che non vorresti mai sentire. Davide Astori è morto, a letto, mentre dormiva. Eppure purtroppo era la verità, una verità dolorosa come una coltellata; per i tifosi, per chi ama il calcio, per chi gli era vicino.

Perché Davide non era solo il capitano della Fiorentina, era un ragazzo che, dovunque avesse giocato, aveva lasciato qualcosa nel cuore della gente. Timido, schivo, quasi uno trovatosi per sbaglio in quel mondo fatto di appariscenze, di finti sorrisi davanti ad una fotocamera, e di interviste banali: Davide era un puro, e non lo diciamo per modo di dire: era un ragazzo sempre pronto ad aiutare gli altri, a farsi carico delle responsabilità, a ridere quando c’era da ridere e a non mollare quando bisognava stringere i denti.

Qui alla Roma ce lo siamo goduto poco, ma anche se per pochi mesi ha lasciato tantissimo: il suo sorriso timido, quasi impacciato nel giorno della sua presentazione allo stadio Olimpico, fa capire che tipo di persona fosse. Un ragazzo umile, conscio di fare il lavoro più bello del mondo e grato per poterlo fare, mai scomposto, mai sopra le righe. Vorremmo che il calcio in questo anno avesse imparato di più da Davide Astori: che oltre ad onorarlo al 13′ minuto su ogni campo, si onorasse veramente la memoria di un ragazzo che amava questo sport, e che lo ha dimostrato ogni giorno.

Non è un caso se ieri, durante la celebrazione sui campi da gioco, in ogni stadio, in ogni curva, la gente piangeva. Se ogni giocatore, di ogni squadra o nazionalità, ha deciso di fermarsi quel minuto, per ricordare un avversario, un compagno, o un fratello. Davide vive in noi, tifosi di uno sport che non deve morire, che lui non vorrebbe vedere morire, che ha ancora bisogno di quei sorrisi dolci e sinceri. Lo dobbiamo al calcio, e lo dobbiamo a Davide.

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