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Banfi: “La Roma di oggi mi piace. Peccato per Zaniolo”

“Quello che sentivo quando Totti entrava in campo era come se venisse a fare calcio da un altro pianeta, la stessa cosa che intravedevo in Pelè”

L’attore pugliese, ma grande tifoso della Roma, Lino Banfi, in un’intervista a Il Romanista ha raccontato della sua passione giallorossa.

Cosa ha rappresentato per lei Francesco Totti?
«Ancora adesso che non gioca rientra nei discorsi che faccio con mia moglie, che non sta benissimo e non ricorda tante cose, tipo l’altra sera durante la partita dell’Italia mi fa: “Però non ci sono più Totti, De Rossi, quelli erano giocatori, ma perché non giocano più?”. Eh, perché stanno diventando vecchi, succede anche nel calcio. Quello che sentivo quando Totti entrava in campo era come se venisse a fare calcio da un altro pianeta, la stessa cosa che intravedevo in Pelè. Poi siamo siamo stati tanto a contatto quando lo nominai ambasciatore dell’Unicef, ci siamo anche divertiti insieme perché ogni tanto ci scambiavamo i ruoli. Totti non ha fatto mai pesare quello che faceva, perché era tutto nel suo cervello, poi l’ha detto a Vanity Fair, era di un garbo incredibile. Lui ha sempre fatto tutto dicendo che era normale saperlo fare, era un campione, era nato così. La stessa cosa dicono a me, con i paragoni giusti: “Come fai a ricordare le battute senza leggerle ancora, non perdi mai il filo alla tua età?”. Evidentemente questo muscolo, il cervello, l’ho allenato talmente bene come facevano loro tante ore al giorno».

Che emozione ha provato all’addio di Totti e De Rossi?
«Quello di Totti mi ha colpito di più, De Rossi è sempre un grande perché sono nati, cresciuti e finiti come carriera nella Roma, ma per quello di Totti abbiamo pianto tutti, ognuno si faceva i suoi conti. Era un momento in cui non correva un buon sangue tra lui e Spalletti e neanche con Pallotta, io ho sempre sostenuto che i presidenti debbano essere della stessa città della squadra, ora c’è questo “americheno”, pare che abbia buone intenzioni, speriamo che resti tutta la stagione calcistica a Roma perché è stando da vicino che si curano le cose di più».

Ha pensato di invitare Friedkin al suo ristorante?
«Dovrei parlare inglese per prima cosa, o deve imparare lui l’italiano. Gli direi di stare di più con la squadra, non ha l’età dei giocatori però, voglio dire, viva lo spogliatoio con loro».

Quali immagini la legano di più alla Roma?
«Ho frequentato diversi giocatori. Il primo fu De Nadai, con la sua famiglia, poi Scarnecchia, con il quale ci siamo visti molto appena si sposò con la ragazza che ora è la moglie di Beppe Grillo. Falcao l’ho conosciuto molto presto. Una volta lo aspettai fuori da Trigoria per uscire insieme con la macchina sua, veniva a trovarmi a casa volentieri, poi scoprii perché veniva… Perché gli piaceva mia figlia Rosanna, non era solo per Lino Banfi, ma c’era un motivo (ride, ndr)… A Cerezo una volta feci uno scherzo con Paulo. Mi invitò a cena, loro andavano dove c’erano belle donne, a me non fregava niente perché già lavoravo con belle donne, lui mi forzò perché voleva fare uno scherzo a Toninho, che era arrivato da pochi giorni in Italia e non capiva bene l’italiano. Io dovevo spiegargli che per dire: “Molto lieto” alle donne si dice “Porca puttena”. Io credevo che Falcao lo dicesse per fare una battuta e invece quando uscimmo la sera nel momento di presentarsi Falcao andava in giro dicendo “Ti presento Cerezo” e lui rispondeva a tutti “Porca puttena”. Poi Toninho capì che era uno scherzo e “Falcheo” diede la colpa a me… Ho tanti ricordi, anche se non c’erano i selfie e i telefoni, ma di foto ne facevo tante con le macchine fotografiche, figuriamoci dopo… Anche per questo quando mi sono fatto più grandicello ho rinunciato ad andare allo stadio».

Però la Roma la segue ancora?
«Sì, sempre. Sono diventato romano e quindi romanista perché dovevo restituire qualcosa a questa città».

La squadra di Fonseca le piace?
«Non è male, anzi. Ci sono giocatori forti, l’allenatore mi pare capace. Peccato che il mio pupillo è sfortunato, mi fa davvero male che Zaniolo non possa giocare. Io scrissi al professore che lo ha operato la prima volta, Mariani, che operò anche me, quando mi ruppi il menisco per una storta presa sul marciapiede per fare delle foto con degli italiani che mi avevano riconosciuto a Las Vegas, dove eravamo per un mio compleanno. Tornammo a Roma prima del tempo. Mi chiesero chi dovesse operarmi e io dissi: “Voglio quello che opera i giocatori, voglio far finta che anch’io sono giocatore”. Conobbi Mariani, diventammo amici, gli feci una poesia come faccio a tutti, lo chiamai The King of Ginocchio. Poi quando è risuccesso di nuovo, Nicolò è andato da un’altra parte per l’operazione. È sfortunato, ma la tempra per farcela ce l’ha, non so in che condizioni è, leggo quello che scrivete voi. Voglio dire a questo “raghezzo”: “Voglio che tu guarisca presto, non mi devi far soffrire, perché io non ho tanto tempo a disposizione, ho 84 anni già “suonèti”, caro Nicolò, tu devi giocare perché quando giochi tu io respiro»

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