L’ombrello Mou, il profeta Ranieri, le nubi sul futuro

Dall'arrivo di Ranieri, si attende di capire quando e in che termini si svilupperà la rivoluzione della Roma sul piano dirigenziale, sportivo e quindi anche sul mercato.

Friedkin

Alla vigilia di un Roma-Genoa che non trasmette particolari emozioni, vista l’anonima posizione in classifica della Roma, il pensiero di molti tifosi romanisti amplificato dai social, è volato inevitabilmente alla commemorazione, dalle sfumature oggettivamente tristi, dell’esonero di Josè Mourinho.

Esattamente un anno fa infatti, la nazione romanista quasi all’unanimità, viveva sconvolta, le ore immediatamente successive all’addio improvviso dello Special One, fortemente voluto da Dan Friedkin. I famigerati ’29 punti in 20 partite’ – quest’anno ridotti ancora di più dopo il girone d’andata peggiore della storia recente giallorossa – i presunti o reali contrasti interni allo spogliatoio, le leggende metropolitane costruite sulla storia di un anello lasciato nell’armadietto di capitan Pellegrini dal portoghese e la scelta di Daniele De Rossi, che faceva il suo ritorno a Trigoria dopo la (prima) cacciata avvenuta per mano della precedente proprietà americana.

Nonostante un ultimo periodo in cui erano sorti concreti dubbi sulla gestione tecnica di Mou tra polemiche e ritardi sul mercato, contrasti interni con la dirigenza, prolungati silenzi e risultati altalenanti, le parole di Josè – per i più profetiche – nel 2024 sono spesso tornate in auge di fronte alla totale autodistruzione a cui è andata incontro la Roma, in tutte le sue componenti. 

Una rilettura a posteriori della sua avventura in giallorosso, ha sancito indiscutibilmente che Mourinho abbia rappresentato per la Roma un enorme ombrello, che ha attutito per quasi tre anni le difficoltà interne al club. Una protezione che, una volta chiusa, ha spalancato dapprima delle crepe, poi divenute delle enormi falle, con acqua in ingresso sotto tutti i punti di vista.

I Friedkin hanno commesso una serie di errori a cascata, tanto per rimanere ancorati alle metafore scroscianti, che si sono spalmati a macchia d’olio negli scorsi 12 mesi, fino all’illuminazione Ranieri. Inutile ripetere ciò che è noto a tutti, tra il via vai di dirigenti, lo svuotamento di quasi ogni forma di competenza a Trigoria e dintorni a tutti i livelli, la scelta di tre allenatori in meno di un anno solare e l’aggravante di rinnovati, ingenti, investimenti sul mercato e sul club.

Sir Claudio ha riportato oggettivamente serenità all’interno del gruppo di lavoro sul campo e fuori dal rettangolo verde di gioco. Rappresenta oggi, seppur non con l’autorevolezza e la riconoscibilità a livello mondiale dello Special One, ciò che è stato Mourinho: un punto di riferimento, un personaggio a cui aggrapparsi per sperare in una ricostruzione che questa volta ponga basi solide per il prossimo futuro, a medio-lungo termine.

Ma a questo punto è doveroso fare un ulteriore passo indietro nella storia recente romanista. Nel corso del suo secondo mandato sulla panchina giallorossa, al termine della stagione 18-19′, Claudio Ranieri dopo una brutta sconfitta contro la SPAL e nei giorni successivi espresse più volte preoccupazioni per l’imminente futuro sportivo del club: “Se andiamo in Champions League c’è un programma definito – conclude il tecnico romano -. Sennò, senza gli introiti della qualificazione, in molti dovranno cambiare aria. L’ho detto ai ragazzi: devono dimostrare di poterci stare in questo club. Oggi abbiamo perso contro giocatori che hanno stipendi più bassi dei nostri”.

La Roma quell’anno ha disputato le ultime due gare ufficiali in Champions League – contro il Porto – e da sei rincorre invano quello status elevatissimo nella nobiltà del nostro calcio, che nel frattempo ha gradualmente perso. In queste ultime stagioni la Champions, complice anche l’allargamento alla quarta e lo scorso anno alla quinta forza del campionato, l’hanno giocata praticamente tutti tranne i giallorossi: Juve, Milan, Inter, Napoli, Lazio, Atalanta e persino il Bologna. I giallorossi ci sono andati vicini in due-tre situazioni, l’hanno sfiorata, l’hanno accarezzata – soprattutto la sera di Budapest – ma non hanno più ascoltato quella musichetta lì.

E Sir Claudio – nudo e crudo ma è così – aveva avvertito tutti quando disse, sempre nella coda finale della sua esperienza in giallorosso che una volta usciti dal giro che conta, è difficile rientrarci. Questo perchè negli ultimi anni mentre la Roma cambiava proprietà, tre direttori sportivi, cinque allenatori, decine di calciatori e continuava ad investire centinaia di milioni di euro sul monte ingaggi, gli altri costruivano – ognuno a proprio modo – progetti sportivi solidi e non ancorati a pie illusioni.

Se la Juventus è certamente scesa di livello gradualmente, pur restando in orbita Champions, l’Inter l’ha di fatto soppiantata vincendo scudetti e raggiungendo una stabilità tecnica di altissimo profilo oltre ad una finalissima persa contro il City; il Milan dopo quasi dieci anni di follie, è tornato a vincere un tricolore e a disputare una semifinale di Champions; il Napoli ha vinto un titolo due anni fa e rischia di vincerne un altro quest’anno con Conte; l’Atalanta si è stabilizzata ad altissimo livello intorno al progetto Gasp, arrivando a vincere un’Europa League. Addirittura il Bologna nell’ultimo anno e mezzo ha staccato e di molto in classifica i giallorossi.

Pallone Champions League

Chiuso il capitolo storico, torniamo all’attualità. Può bastare Ranieri per ricostruire la Roma? Qual è la visione? Quale la programmazione? Quando sarà annunciato il nuovo amministratore delegato? E il direttore marketing? La direzione sportiva subirà un nuovo scossone, l’ennesimo a fronte di società che hanno chi da 5, chi da 8, chi da 10 anni la stessa struttura dirigenziale? Chi sarà il nuovo allenatore e quando sarà scelto, ma soprattutto in funzione di quale progettualità? Sono le domande che oggi, domani, dopodomani, tra una settimana e ancor di più verso la Primavera, cominceranno a circolare con maggiore insistenza nella testa di tutti i tifosi romanisti.

Domande parzialmente annebbiate dall’ovvio interesse ai risultati di questa stagione, con un campionato da risistemare e delle coppe possibilmente da aggredire fino a quando sarà possibile, ma a cui si spera la società giallorossa possa dare risposte di livello per confermare nei fatti ciò che è stato più volte proferito nell’ultimo periodo. Se l’obiettivo è ‘basta la Rometta, ora c’è la Roma’, c’è ancora tantissimo da fare.

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