La protesta della Curva Sud proseguirà, anche domenica prossima, anche in occasione di un big match contro l’Inter. Al di là dei risultati sportivi, il faro del tifo giallorosso ieri ha deciso di fissare chiaramente motivi e necessità di una contestazione, che civilmente, tornerà protagonista all’Olimpico tra qualche giorno.
Iniziata in occasione di Roma-Udinese, a causa dell’amaro esonero di De Rossi, ora si irradia anche oltre il vilipendio alle bandiere. Perchè sì, nell’elenco dei motivi della protesta c’è in primis l’aver calpestato la storia (non solo in occasione dell’esonero del tecnico romanista), ma oltre allo stemma, la questione merchandising e la disorganizzazione diffusa, il vero tema (e problema) è probabilmente l’ultimo: “l’incapacità di scegliere persone adeguate a rappresentare la Roma sotto tutti i profili”.
Il cuore di tutta la vicenda, che trascende dall’aspetto sentimentale e che spinge dinanzi alla luce dei riflettori i principali responsabili, del triste momento che la Roma sta vivendo da diverse settimane: i Friedkin. Proprietari facoltosi a cui si imputa non di aver tenuto le mani in tasca e quindi di non aver speso per la Roma (visto il miliardo investito) ma il fatto, ormai acclarato, di aver speso male. Paradossalmente un’enorme aggravante.
Perchè, se nella prima era americana, il punto di rottura oltre alla tradizione svilita, fu la frustrazione per una evidente speculazione calcistico-finanziaria, la parabola negativa dei Friedkin dal consenso unanime all’aspra contestazione di oggi è passata attraverso indubbi momenti di gioia (l’annuncio di Mourinho, il trionfo di Tirana e l’orgoglio di Budapest) per giungere all’attuale e totale incapacità di comprendere che il calcio, ad alti livelli, necessita di altro.
Ai proprietari texani dunque, con lucidità e accortezza, si imputa, dopo un mese dalle loro ‘promesse‘, di non aver dato seguito alle parole con scelte chiare, dirette, che portassero a credere nuovamente in questo progetto sportivo. Segnali che tardano ad arrivare, che manifestano un distacco emotivo e operativo inquietante.
Gli allenatori – che si chiamassero Mourinho, De Rossi e ora Juric – sono stati lasciati soli al loro destino. In società mancano figure di riferimento, non solo capaci di comprendere questa realtà e rappresentare al meglio la storia della Roma, ma che sappiano anche rilanciare la progettualità sportiva. Recentemente ai microfoni di DAZN è apparso Florent Ghisolfi, scelto a fine maggio, annunciato senza essere presentato e tenuto in un cantuccio fino a settembre, quando con l’addio della Souloukou, è stato quasi costretto ad assumersi più responsabilità. Ma non parla ancora l’italiano e oggettivamente non sembra aver quel profilo adatto a gestire un mare in burrasca come quello attuale.
E’ legittimo chiedersi se questa forma di protesta, che certamente proseguirà oltre la sfida di domenica, se non dovessero arrivare risposte chiare dai Friedkin, faccia bene alla squadra. Tuttavia è altrettanto oggettivo che in questo momento storico per molti tifosi, il risultato sportivo del breve termine sia sceso in secondo piano rispetto alla programmazione a medio-lungo termine, che deve ripartire con regole d’ingaggio diverse.
Perchè non esiste squadra vincente che non sia supportata internamente da una struttura dirigenziale di altissimo profilo e all’esterno da una tifoseria compatta, pronta a sostenere la squadra in Italia e in Europa. E ciò che sconvolge più di tutto è che i Friedkin questa realtà esterna l’hanno avuta a prescindere dai risultati per tre anni e forse, delittuosamente, non ne hanno compreso le reali potenzialità.