Marcello Nicchi salva gli arbitri dalla disoccupazione
Non un vero reddito di cittadinanza, come lo aveva battezzato il presidente dell’Associazione arbitri, Marcello Nicchi. Ma una manovra per “salvare” i fischietti a fine carriera. La Federcalcio e l’Aia stanno lavorando a una sorta di ammortizzatore sociale per chi smette di arbitrare. Servirà a evitare altri “casi Gavillucci”, l’ex arbitro di A dismesso, cioè mandato in pensione, che ha avviato una lunga battaglia a colpi di carte bollate con l’Associazione per ottenere il reintegro, dopo essere rimasto senza lavoro e senza fischietto.
Si tratterà di un “accompagnamento” di circa 3 mila euro al mese in cambio di alcune ore di servizio nelle sezioni Aia, per consentire ai tanti direttori di gara di Serie A o Serie B che hanno lasciato il lavoro per dedicarsi all’arbitraggio, di non trovarsi – una volta dismessi – senza occupazione né reddito.
Il motivo è semplice: arbitrare nei massimi campionati italiani è gratificante, usurante e ben remunerato: un arbitro di Serie A guadagna mediamente 110mila euro all’anno lordi, circa 60mila netti. Un arbitro top, di primissima fascia, può arrivare ai 150 lordi, circa 100mila netti (in Germania prendono quasi il doppio).
I compensi si dividono in due parti: una quota come rimborso spese per le partite (3.800 euro a partita l’arbitro, 1.500 euro il Var). La seconda per i famosi diritti d’immagine, che vanno dai 45mila euro degli esordienti alla prima stagione, fino ai 72mila degli esperti e gli 80mila degli internazionali. Cifre fisse, che servono a coprire tutti quei giorni in cui è richiesta la presenza fuori dal campo, come i raduni e gli stage formativi, in Italia o all’estero. Lo scrive La Repubblica.