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Scamacca: “Chi mi prende fa un affare. Da piccolo alla Roma non staccavo gli occhi da Totti in campo”

Le attese parole di Gianluca Scamacca

Gianluca Scamacca ha scritto una lettera aperta alla redazione di Cronache di Spogliatoio. Ha raccontato la sua esperienza in Premier segnata da un grave infortunio e ha parlato della sua situazione attuale. Ecco le sue parole:

In Premier League, dove il fisico è una componente rilevante, se non sei al 100% ti spazzano via. Quando sono stato bene, in un mese ho segnato 5 reti. Poi i problemi: prima il ginocchio sinistro che faceva male, poi il destro. 

A dicembre è venuto fuori che avevo una lesione al menisco esterno che non mi permetteva di performare. Avevo un edema intrarotuleo che si era creato dal menisco: quando mi sono operato, mi hanno tolto un pezzettino di corpo. È andata bene, ma è stato uno schiaffo perché era il primo infortunio della mia vita.

Non potevo muovermi, vivevo con le stampelle. Mi pareva di andare più lento degli altri. Però chi va più lento, ha maggior possibilità di osservare”.

La sicurezza e la fiducia che ripongo in me stesso mi hanno permesso di arrivare dove sono. Fin da quando ero ragazzo, la gente parla di me. Ma se tutti parlassero soltanto bene di me, sarebbe un problema. Sono stato giudicato per i tatuaggi o per i capelli biondi. Ma questo non mi ha penalizzato: se mi avesse penalizzato, non stavo qui! Dai ragazzi… ho tre passioni: il calcio, i videogiochi e i tatuaggi, me ne sono fatti fin sopra la testa.
Non mi drogo, non fumo, non mi ubriaco tutte le sere… che devo fare! Conta quando vai in campo e se sputi sangue. Sappiatelo: non ho ancora mostrato al 100% le mie potenzialità. Sono due anni che il mio Instagram continua a essere tempestato di post di calciomercato in cui vengo taggato.
Per tanti sono un talento inespresso: io so di avere delle qualità ancora nascoste, ma sono stra-sicuro al 100% che chi mi prende fa un affare. Penso che mi manchi solo stare nel posto giusto al momento giusto. Quale sarà? Lo scopriremo soltanto vivendo.
“Un punto d’arrivo non lo raggiungerò mai. Nella mia testa mi pongo sempre due tipologie di obiettivi: uno a breve termine, l’altro a lungo. Anche se nella prossima stagione dovessi segnare 20 gol, al ventesimo punterei a farne 22. Sono molto duro con me stesso, molto pretenzioso. Fin da quando giocavo per strada nel mio quartiere di Roma. Sono uno di strada, nato nella strada e cresciuto per strada. Proprio per questo ascolto Rondo, Shiva e Capo Plaza. Mi rivedo nei loro racconti, quando dopo gli allenamenti mi fermavo sotto casa con i miei amici a provare le nuove skill.
Quando ho lasciato la mia città da ragazzo per andare in Olanda, è stata una mazzata. Volevo provare questa esperienza che mi affascinava e farmi una cultura: non mi pento di niente, i Paesi Bassi sono una scuola di calcio. Ma ho iniziato a sentire la mancanza e sono tornato. Forse non avrei dovuto farlo. Ero piccolo, mi ero stufato. Quando sono partito, le squadre italiane non investivano sui giovani. E puntavano sul collettivo: in Olanda, invece, vogliono l’evoluzione del singolo.
Al mio ritorno, la filosofia era cambiata. Sono tornato a casa tra un prestito e l’altro. Sentivo la lontananza. Ne è valsa la pena: pochi anni dopo ho esordito in Serie A, al Maradona, contro il Napoli. In quei 15 minuti non ho capito niente, ho ricordato le prime volte in cui andavo all’Olimpico. Mi è tornato in mente quando dalle giovanili della Lazio passai a quelle della Roma: al cuore non si comanda. Guardavo Totti mentre facevo il raccattapalle e non gli staccavo gli occhi di dosso.
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