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Il centrocampo è il cubo di Rubik di Mou: sei facce per un unico volto

La Roma è alla ricerca del miglior assetto in termini di equilibrio ed efficacia offensiva e difensiva. Tutto ruota intorno al centrocampo di Mou.

Quando Erno Rubik nel 1974, tra una lezione di architettura e una scultura, ideò il cubo ‘magico’, certamente non immaginava che la sua invenzione finisse nei decenni successivi, tra le mani di milioni di persone, intente nel cercare il modo più agevole per ricomporre ogni singolo lato. Mourinho oggi sta tentando di plasmare una materia ancora molto fluida, un insieme di calciatori che tra vecchi e nuovi è alla ricerca di un’identità utile a raggiungere grandi risultati.

Da che mondo è mondo, (e calcio è calcio) le fortune delle squadre ruotano quasi sempre intorno ad un centrocampo di spessore. Che sia schierato a tre in linea, a due più uno, con il regista o senza, la mediana di una formazione è motore propulsore, fonte d’equilibrio  e reparto fondamentale per definire gioco, risultati, si spera vittorie.

Lo Special One in cinque partite ha schierato per cinque volte un terzetto di centrocampo diverso da quello precedente. Come il cubo di Rubik, il tecnico giallorosso sta cercando le soluzioni migliori per risolvere l’enigma che potrebbe innescare a catena una reazione positiva in termini di prestazioni e risultati.

Mou e il centrocampo da costruire per dare slancio alla Roma

Cristante, Paredes, Aouar, Renato Sanches, Pellegrini e Bove, sei facce di un poligono con colori diversi, caratteristiche e prospettive evidentemente diverse. E se da una parte conforta la crescita fisica e tecnica dell’argentino come play davanti alla difesa, oltre alla riscoperta di Bryan ‘l’indispensabile’ nel ruolo di mezzala (con gol e assist nel sacco), non può non preoccupare la situazione complessiva di Aouar, Pellegrini e Sanches. Tre giocatori che per motivi differenti purtroppo non riescono a trovare continuità.

Il 3-5-2 sta alimentando sul piano prettamente statistica, una maggiore efficacia del centrocampo in zona offensiva. Tra reti e assist rispetto allo scorso anno, il reparto mediano giallorosso mostra potenzialità decisamente più importanti. Ma le condizioni fisiche di alcuni finora preoccupano e non poco.

L’algerino, tornato ieri in campo dopo lo stop col Milan, aveva iniziato molto bene la stagione. Dopo una lunga e confortante preparazione svolta nel corso del periodo estivo, l’ex Lione è stato uno dei migliori in campo nelle prime due sfide ufficiali contro Salernitana e Verona, con un gol al Bentegodi che lasciava ben sperare. Poi si è fermato ai box e ieri è riapparso in condizioni fisiche molto precarie.

Fortunatamente però non si è rifermato come accaduto a Sanches, che è e resta una enorme scommessa della Roma, in primis di Pinto che si è assunto ogni responsabilità sulla scelta del lusitano. Domenica scorsa in 45 minuti si è visto quanto l’ex PSG potrebbe dare alla causa sul piano fisico e tecnico, ma il timore è che per carenze ormai croniche, questo ragazzo sia ormai entrato in un loop negativo difficile da ribaltare.

Sullo sfondo c’è il capitano: reduce da una stagione in chiaroscuro, Pellegrini di fatto quest’anno non c’è mai stato. Out alla prima per squalifica, in campo a Verona con tanto di gol sbagliato e una traversa clamorosa su punizione, poi due stop tra Roma-Milan e Nazionali. Questa volta Lorenzo non ha potuto stringere i denti e con raziocinio si è fermato ai box. L’augurio è che torni gradualmente in campo senza dover temere ricadute.

Aouar, Pellegrini e Sanches, tre personaggi in cerca d’autore o tre lati del cubo di Rubik difficilissimi da ricomporre, ma Mou deve trovare la chiave, sfruttando nel frattempo la gamba e lo spirito di Edoardo Bove: anche ieri una mezz’ora di altissimo livello, recupero alto del pallone, contrasti e qualità nelle ripartenze. Probabilmente domenica sera andrà in campo dall’inizio contro il Torino, in una gara dove bisognerà battagliare in ogni porzione di campo. Ma l’obiettivo a medio-lungo termine è rimettere in piedi con continuità, le tre mezz’ali tecniche, o almeno due di esse, altrimenti la squadra rischia di restare su uno scaffale come un vecchio cubo di Rubik, risolto solo a metà.

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