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De Rossi: “Voglio meritarmi la riconferma sul campo. Me la giocherò alla morte per restare”

Daniele De Rossi parla in conferenza stampa alla vigilia di Roma-Hellas Verona: ecco le parole del neo allenatore giallorosso

Daniele De Rossi parla per la prima volta in conferenza stampa da allenatore della Roma. Ad attendere i giallorossi c’è l’impegno di domani alle 18 allo stadio Olimpico contro il Verona. Ecco le parole del nuovo allenatore.

Che tipo di lavoro ha impostato, che Roma ha visto e che Roma vorrebbe?

“Sorrido, non per la domanda, ma perché vedo facce alle quali sono affezionato e che non pensavo di trovare. Quando cambi tecnico, vedi sempre i giocatori che nei primi allenamenti vanno a tremila all’ora. È inevitabile, sia quando cambi un grande allenatore, sia quando ne cambi uno mediocre: è sempre così.

I primi allenamenti ti danno una risposta fino a un certo punto. Bisogna vedere quanto riusciremo a tenere questa intensità a lungo. Ma è stata una risposta incredibile. Vanno a duemila, si allenano forte, sono disponibili. Sembra che assorbano che quei due o tre concetti che vogliamo immettere: non di più, perché all’inizio, in tre, quattro giorni, puoi rischiare di mettere solo troppa confusione. Sembrano delle spugne e li ringrazio di questo”.

Ha sentito Totti?

“Ci siamo sentiti. Lui mi ha mandato un messaggio di in bocca al lupo, in cui mi dimostrava la sua felicità, il suo stupore, che poi inizialmente era anche il mio. In questi giorni abbiamo parlato un paio di volte e ci siamo promessi di vederci. Adesso lui andrà in Cina, se non sbaglio, a fare delle cose.

Ci vedremo al più presto e passeremo un po’ di tempo insieme, che poi è una cosa che ci fa sempre piacere, al di là della Roma, di chi la allena e del lavoro che facciamo”.

Qual è il problema principale che pensa di dover risolvere? E sarebbe contento a fine stagione se…?

“Sarei contento se a fine stagione fossimo tra le prime quattro della classifica. Un obiettivo da puntare, non facile da raggiungere, ma assolutamente possibile.

Sì, quando cambi allenatore i problemi ci sono sempre. Ci sono passato io un anno fa: non pensavo che ci fossero tutti quei problemi, la società (la Spal, ndr), sì. Penso che possa dire la stessa cosa il mister (Mourinho, ndr) e la Società idem adesso.

Non è una cosa rara nel mondo del calcio. Ci sono dei problemi che però io non devo andare ad analizzare troppo. Devo cercare di partire dallo 0-0, come partono le partite: devo vedere quali sono le cose che, secondo me, non funzionano, in questi giorni. E ti assicuro che non fai in tempo in tre, quattro giorni, a vedere, ad analizzare tutto.

Sono fortunato perché vuoi o non vuoi, per motivo di tifo, io le partite della Roma le ho viste tutte, mentre per qualsiasi altra squadra sarei dovuto ripartire da zero, guardando i filmati. Invece, questa è la squadra che conosco di più al mondo, per motivi di tifo. Magari, abbiamo accorciato un pochino il periodo di studio, ecco”.

Questo è il momento giusto per tornare a casa, per tornare alla Roma?

“Era il momento giusto per rifiutare la Roma, secondo te?”.

Secondo me, no.

“E allora, la domanda te la faccio io in maniera scherzosa. Non si rifiuta la Roma, no? È un po’ quello che è successo a Pirlo qualche anno fa, quando è andato alla Juventus: era partito dalla Under 23 e poi si è trovato in questa situazione.

Ci sono uomini che rifiutano e uomini che si buttano dentro. Non è solo voler tornare a mettersi la felpa, non è solo un discorso di vezzo o di nostalgia del passato. Uno fa anche un’analisi veloce dei valori di questa squadra e l’unica ragione per cui avrei detto no è se avessi pensato la squadra fosse stata mediocre, scarsa. Non vado a fare delle brutte figure, se sono sicuro di farne. Penso che sia una squadra forte, penso che il lavoro che dobbiamo improntare ci porterà a fare bella figura ed aiutare anche me come sviluppo della carriera. Dove, lo vedremo tra qualche mese”.

In un’intervista, disse che non le piace la frase “il mio calcio”: per cosa vorrebbe che fosse ricordato il calcio di Daniele De Rossi?

Il mio calcio è una roba che mi fa venire i brividi. A volte, ho sentito dirlo anche da allenatori che stimo, ai quali voglio bene. È un’espressione sbagliata, perché il calcio non è mio.

Sai, se Guardiola dicesse il mio calcio, allora potremmo stare lì ad ascoltare e a chiedergli di spiegarcelo, perché c’è quel soffio di genialità che ha portato a cambiare qualcosa. Lo stesso vale per De Zerbi, lo stesso vale per Simeone o Antonio Conte, che hanno spostato qualcosa nel mondo del calcio.

Io non penso di essere al loro livello, non so se ho quel marchio di fabbrica. Ma penso che gli allenatori bravi li riconosci anche da come giocano le squadre.

Ci sono allenatori bravi che non hanno inventato niente, ma che, a occhi chiusi, sai dire che quella squadra è di quell’allenatore o di questo. Quindi, penso che, se alla fine di questo percorso, la squadra sarà riconoscibile e i giocatori tra di loro sapranno cosa devono fare in campo in maniera organizzata, fruttifera, sarei contento di questo. Verrei ricordato come uno che fa giocare bene le squadre e le fa vincere. Mi basta e mi avanza”.

Abbiamo saputo che non ci sono condizioni nel tuo contratto, dopo la scadenza, ma c’è un bonus legato al quarto posto: si è parlato anche di Europa League come traguardo e si è parlato di una tua permanenza anche per il futuro?

“I presidenti Dan e Ryan Friedkin sono stati chiarissimi sulla durata del contratto e sul tenore della mia permanenza qui.

Ovviamente, io ho detto ok, va benissimo, mettete voi la cifra e voglio un bonus per la qualificazione in Champions. Non ho firmato in bianco, perché effettivamente il contratto non era scritto, ma che avrei firmato alla cifra che avrebbero messo loro.

Penso che fosse un gesto dovuto per quello che io sono stato qui. Ovviamente, non farò tutta la mia carriera così. E anche per l’opportunità grande che sto ricevendo.

Non ci sono condizioni, non ci sono rinnovi automatici: non c’è niente. È un contratto di sei mesi. Io ho detto che a me andava bene così, che volevo giocarmi le mie carte. L’unica cosa che ho chiesto è di trattarmi da allenatore, non da bandiera, da ex giocatore, da leggenda. Non devo fare il giro di campo con Romolo, con i ragazzini.

Ma loro su questo erano stra-d’accordo, erano sicuri che non ci sarebbero state incomprensioni. Per il resto, sanno che dal primo secondo che li ho sentiti, da quando mi è arrivato quel messaggio che veramente non mi aspettavo, io me la giocherò fino alla morte per rimanere qui.

Questo è sottinteso e credo siano soddisfatti di questo: di un allenatore che prova a mantenersi questo posto con un gioco pulito, senza ricorrere a quello che sono stato, ma provando a guadagnami sul campo la riconferma, perché sarebbe un sogno per me”.

Si è fatto un’idea di come difendere, a quattro o a tre? E c’è un’idea di base che le piace di più?

“Io inizio ad innamorarmi di questo lavoro con Spalletti e il colpo di fulmine, la botta finale, me la dà Luis Enrique. Per me, questo tipo di allenatori che quindi portano tanti giocatori in fase offensiva e che automaticamente difendono a quattro, sono stati la base del mio innamoramento, delle mie folgorazioni e delle mie stagioni migliori.

Però, questa squadra che gioca da tanti anni a tre, è stata costruita per giocare a tre. Quindi, noi ci prendiamo fino all’ultimo minuto per decidere: abbiamo provato entrambe le cose.

Penso che si possa anche difendere in una maniera e magari costruire in un’altra, con delle rotazioni che magari all’inizio potrebbero essere un po’ farraginose, perché non sono automatismi ben studiati, ma che poi entrerebbero nella testa dei giocatori così esperti in poco tempo. Vediamo di decidere. Non tolgo dalle opportunità quella di cambiare in corso di partita o magari in corso di stagione, affrontando qualche partita a tre e qualche altra a quattro, anche in base alla strategia di gara e a quello che sarà l’avversario”.

C’è anche chi dice che lei sia stato preso per l’effetto calmante. Lei ha questa impressione? Questo è destabilizzante o può essere uno stimolo in più per lei, per la squadra, per la Roma?

“Non ho bisogno di stimoli in più. Non mi destabilizza per niente. Non sono stupido. La scelta calmante è un modo un po’ brutto, un po’ moscio, di definire la scelta.

Penso che quando un dirigente prende una decisione su chi deve rimpiazzare un tecnico così tanto importante e amato, debba prendere in considerazione tanti fattori. Non sto dicendo qui che io sono la scelta giusta, assolutamente. Ma se chiudo gli occhi e penso ad altri allenatori disponibili, sulla piazza, messi qui oggi, la reazione della gente avrebbe potuto essere ancora più devastante nel breve termine nei confronti della squadra.

In più, diciamo che penso che i tifosi siano una parte importante. Specie negli ultimi anni: i pienoni, questo affetto gigante che hanno mostrato alla squadra… Penso che abbiano portato dei punti. E penso che nessuno più dei tifosi della Roma sia capace di amare due persone insieme: nessuno toglie il bene che hanno voluto e che vogliono a Mourinho, ma penso che non sarà difficile per loro voler bene anche a me. Rimanendo così su quella scia d’amore, su quella scia di calore e di casino che c’era allo Stadio anche l’ultima volta che sono venuto.

È ovvio, poi, che non mi hanno scelto perché sono rimasti folgorati dai risultati e dalle prestazioni della Spal. Non sono stupido. Dire che è calmante è brutto: secondo me, è una scelta ponderata, anche in base a fattori ambientali, a fattori di leadership… a fattori di mille cose. Se è stata giusta, lo scopriremo fra qualche tempo. Io ne ho approfittato, molto semplicemente. Penso che sia una grandissima occasione per me, per diventare l’allenatore che voglio diventare”.

Si aspettava che fosse proprio così il suo ritorno alla Roma? E poi: appena entrato nello spogliatoio, si è sentito l’allenatore della Roma?

“È molto simile alla domanda che mi hanno fatto prima. No, uno non si aspetta – non lo sogna – che mandino via l’allenatore più titolato della storia e che prendano te.

Ma ero consapevole, non mi hanno forzato, non mi hanno puntato la pistola alla tempia per accettare. Mi aspettavo un processo più graduale. Ma è piena la storia del calcio di episodi, di esempi, di allenatori che sono entrati come traghettatori, ad interim, magari per un paio di partite, in attesa che firmasse un altro allenatore, e poi sono rimasti.

L’ultimo in ordine di tempo, probabilmente, è Raffaele Palladino: non penso che fosse stato scelto per fare l’allenatore a lungo termine, e si sta dimostrando tra i due o tre allenatori più bravi in Italia. Non è una cosa così rara quella che mi è successa, ma me la immaginavo diversa.

Sì, io mi sento l’allenatore della Roma. Più in campo che negli spogliatoi, perché ovviamente non si toglie quel rapporto di confidenza che hai con gran parte dello spogliatoio e non ho mia intenzione toglierlo: penso che ci possa rispettare anche sapendo di essere amici. Io non devo fingere che non sono mai stato qui dentro o che non voglio bene a Pellegrini, a Cristante, eccetera, eccetera… Non ho mai finto qui dentro, non ho mai finto con i miei compagni, non ho mai finto con i tifosi.

Non devo fingere: una persona mi ha consigliato di non venire con la mia macchina, perché sai, è troppo… Io non devo fingere nemmeno di essere povero. Non devo fingere, devo fare allenatore.

Una volta usciti dallo spogliatoio ed entrati in campo, lì mi sono sentito l’allenatore. Perché loro mi guardano, mi ascoltano, mi seguito e la sensazione dei primi giorni è che gradiscano quello che sentono. Poi questo non è abbastanza per essere un bravo allenatore, ma magari lo è il fatto che queste idee, quello che facciamo, ci portino qualche punto”.

Roma ha fatto stufare Mourinho? Vi siete telefonati?

“Gli ho mandato un messaggio, non di circostanza: mi sentivo di farlo. Lui è stato tra i primi a farlo quando ho firmato per la Spal. Il mio è stato un gesto dovuto, giusto.

Non so se si fosse stufato, dovresti chiederlo a lui. Non lo so, non mi permetto di dirlo e con tutto il rispetto non mi interessa neanche troppo: io mi devo focalizzare su quello che ho davanti, su quello che posso cambiare, che posso migliorare, su quello che posso fare, che devo fare. E ti assicuro che in questi quattro giorni, come è normale che sia, sono stato costretto a parlare di tante cose, oltre che di calcio: il contratto, la divisa… Non vedo l’ora che questa cosa si normalizzi e che io possa iniziare a passare qui le giornate a guardare, a studiare, a pensare al calcio”.

Ha detto che la Roma è una squadra forte. Si è fatto un’idea di quali potessero essere i problemi principali? Magari, una mancanza di motivazioni dopo due anni e mezzo con un tecnico? O problemi tattici? E c’è qualcuno che l’ha stupita di più in questi quattro giorni?

“Sì, qualche problema lo riscontravamo anche guardando le partite: in alcune, non penso che la Roma giocasse male, come veniva detto. Penso che giocasse delle partite molto male e altre molto bene.

Questo saliscendi ha causato questo distacco che c’è in classifica. Ma la Roma con l’Atalanta ha giocato una grande partita, io l’ho vista. Col Napoli anche, ero allo Stadio.

Quindi, non ha problemi clamorosi di gioco, non è stata allenata male. Ha avuto dei problemi, delle alternanze dal punto di vista del rendimento in campo.

Le idee, i motivi: qualche domanda ce la stiamo ponendo. Ma i motivi non lo dico in conferenza stampa, perché sarebbe irrispettoso.

Ero consapevole che fosse una squadra forte. Quando poi dal vivo vedi questi giocatori, rimani impressionato. Sono stato abituato a giocare con dei calciatori forti. Ma quando poi dopo tanto tempo li rivedi in allenamento, ti riavvicini a questo livello di calcio, e vedi la palla toccata da Dybala, Lukaku, Pellegrini, da questi calciatori qui, rimani colpito.

Stupito? Ammetto che non conoscevo bene Pisilli, è un giocatore tanto forte, non pensavo avesse tutta questa qualità. È un bambino ancora, ma mi ha impressionato, perché riconosco che non lo conoscevo bene, e vederlo dal vivo mi ha impressionato”.

Cosa c’è da non sottovalutare nella sfida di domani contro il Verona?

“Mille cose. Il Verona, innanzitutto, perché è una squadra solida, allenata da un tecnico che io stimo tanto, come allenatore e come uomo. Che ha mantenuto la barra dritta anche in un momento in cui penso che a Verona si parlasse di altro, di mercato, di cessioni, di problemi societari. Per la sua eleganza, per il fatto di essere riuscito a portare a casa una vittoria importante come quella con l’Empoli, lo ammiro molto.

È una squadra strutturalmente solida, dotata di giocatori di grande fisicità, con un gioco abbastanza definito, riconoscibile, che sa fare bene.

E poi l’emozione dell’esordio non ci deve fare brutti scherzi. A me, e sono abbastanza tranquillo, ma anche ai ragazzi. È un cambio, spero di no ma ci potrebbe essere un po’ di malumore.

Dobbiamo essere tutti molto caldi. Io in panchina, i ragazzi in campo e la gente fuori”.

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