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Roma

Trent’anni fa la Roma disse addio al progetto di uno stadio alla Magliana. Tra stralci di quotidiani e lettere private, ecco cosa avvenne

È una prova d’amore verso la città”. Con queste parole, il 19 gennaio 1987, il presidente della Roma, Dino Viola, espone il progetto dello stadio della Magliana alla presenza del sindaco di Roma, Nicola Signorello. È una storia nota, vecchia di trentadue anni. Quasi trentatré con l’avvento imminente del 2020. Eppure, sempre d’attualità. E tremendamente simile ad altre note circostanze, più recenti. Su segnalazione di un tifoso e collezionista di cimeli, Domenico Catà, il magazine ufficiale è entrato in possesso di alcuni documenti dell’epoca. Stralci di quotidiani e una lettera privata inviata dal presidente giallorosso allo stesso Catà. Match Program, sulla scorta di questi reperti d’archivio, ha effettuato un lavoro di ricostruzione storica, per tornare su una vicenda che tenne banco all’epoca e di cui è giusto dare conto oggi anche se a distanza di molto tempo. Il dossier raccolto si riferisce al biennio 1986 e 1987. È il periodo storico in cui scatta la partita per l’assegnazione degli appalti in vista del Mondiale di Italia 90. Sui diversi organi di informazione inizia a farsi largo la volontà di Viola di costruire un nuovo impianto per la squadra giallorossa, al fine di ottenere diversi ricavi e dare un impulso diverso alle casse societarie. Una mossa strategicamente chiave per il futuro, che permetta al club di mantenere una competitività alta, sulla scorta di vittorie sul campo già ottenute. Uno scudetto, quattro Coppa Italia e una finale di Coppa dei Campioni. Tutto in sette anni di presidenza, dal 1979. Ma non basta, “per restare ai vertici serve lo stadio di proprietà”, ripete a più riprese Viola nelle sue esternazioni pubbliche. Iniziano le schermaglie istituzionali e le prese di posizioni editoriali.

Come quella di Luigi Ferrajolo, sul Corriere dello Sport dell’11 dicembre 1986. “Che Roma abbia bisogno di un megastadio da 120 miliardi e passa è tutto da dimostrare. Ma se Viola è disposto con i suoi (per ora misteriosi) sponsor a finanziare il megaprogetto, faccia pure. Purché né Coni, tanto meno il Comune, spendano una lira per un impianto che non appare necessario, in un quadro più generale e realistico delle strutture sportive della città. È artificioso legare a questo progetto la possibilità che Roma ospiti la finale del ’90. Il Coni ha già deciso di ampliare e riammodernare l’Olimpico, più che degno per un avvenimento del genere (…)”. Sul Messaggero del giorno stesso, 11 dicembre 1986, viene ospitata l’opinione di segno opposto dell’Assessore all’ambiente del comune di Roma, Corrado Bernardo, “L’Olimpico non ce la fa più – si legge – (…) Chi sostiene la proposta di adeguare l’Olimpico  o vede la partita dalle tribune d’onore o ha scarso interesse e rispetto per i tifosi, quindi per la città. (…) L’Olimpico sarebbe infatti una sterile massa di cemento di 10 metri d’altezza per oltre 300 di lunghezza e così, a Roma, avremmo tre monumenti fissi e permanenti: il Colosseo, San Pietro e l’Olimpico. Interi quartieri resterebbero ancor più prigionieri delle auto e del traffico che ne consegue all’inizio ed alla fine di ogni partita. (…) Qualcuno si è lamentato delle lentezze ed indecisioni della burocrazia romana: se sostituiamo la parola “burocrazia” con il termine “politica” e vi aggiungiamo “personaggi nell’ombra” sono d’accordo (…)”. Il 18 dicembre 1986, sul Corriere dello Sport trova spazio una lettera del presidente del Coni, Franco Carraro, indirizzata al sindaco di Roma Signorello e “per conoscenza anche ai presidenti della Roma e della Lazio, Viola e Calleri”. L’appello di Carraro è chiaro, richiedere supporto al Comune per i lavori di ristrutturazione dell’Olimpico: “(…) Il Coni ha progettato e sta realizzando lavori atti a garantire le migliori condizioni di svolgimento dei campionati del mondo di atletica leggera del 1987. Detti lavori, economicamente assai onerosi, garantiscono che l’Olimpico – naturalmente nei suoi limiti di capienza – risulti assolutamente idoneo anche per i campionati del mondo di calcio del 1990 per quanto riguarda tutti i servizi (…). Nel corso della riunione, indetta dal Ministro del Turismo e dello Spettacolo il 26 novembre u.s. (…), il Governo, tramite il ministro Capria, dichiarò la propria disponibilità ad aiutare, anche finanziariamente, le amministrazioni comunali impegnate nei lavori (…). Poiché mi sembra assurdo che Roma non approfitti di questa opportunità governativa, mi sono fatto premura di incontrare il 2 dicembre u.s. i presidenti della Lazio e della Roma per chiarire il punto di vista del Coni, che qui riassumo in termini precisi. Se l’amministrazione comunale e le due società calcistiche ritengono precipuo interesse della città, sul piano economico, sociale e urbanistico, che Roma sia dotata di un terzo impianto in grado di ospitare partite di calcio ad alto livello, il Coni prende atto di questa decisione e non pone alcun tipo di ostacolo. Anzi, dichiara la propria totale disponibilità a fornire, se richiesta, qualsiasi tipo di collaborazione mettendo a disposizione il proprio bagaglio di esperienza. In questo caso, avendo già il Coni effettuato cospicui investimenti per la sistemazione dell’Olimpico, l’ente non è in grado di fornire alcun contributo finanziario (…). (…) è assolutamente indispensabile che pervenga al Coni una formale e precisa richiesta da parte dell’amministrazione comunale entro e non oltre il 31 gennaio 1987. Dopo tale data non sarà possibile programmare più alcun ampliamento (…)”.

Il 18 gennaio 1987, L’Unità riporta la presa di posizione del Partito Comunista Italiano: “No al megastadio. No, perché i costi per gli espropri del suolo e per le opere di urbanizzazione sarebbero enormi (centinaia di miliardi). No, perché si faciliterebbero ulteriormente gli interessi speculativi della rendita che spinge all’urbanizzazione verso il mare, penalizzando lo sviluppo ad est come previsto dal piano regolatore. No, perché l’Olimpico, come il Flaminio e il Velodromo, diventerebbero una sorta di cattedrale nel deserto dello sport. No, perché l’area della Magliana è di interesse paesaggistico (zona umida) e perché è vincolata urbanisticamente (…) Il PCI, invece, guarda con attenzione alla possibilità di ampliare l’Olimpico, sulla base del progetto del Coni (…)”. Nella stessa pagina, in un box a parte, si dà risalto anche a una nota dell’associazione Italia Nostra, “che definisce inaccettabili entrambe le proposte, quella relativa all’impianto previsto alla Magliana e quella per l’intervento sull’Olimpico, sempre per motivi di carattere ambientale”. Si arriva al 19 gennaio 1987, al giorno della presentazione del “megastadio” della Magliana alla presenza di Viola e del sindaco Signorello. Il giorno dopo, il 20, il Corriere dello Sport ne dà conto a pagina 6, in apertura: “Ecco il nuovo stadio di Viola”, con il pezzo di cronaca di Alessandro Vocalelli, sintetizzato dal sommario al centro della pagina. “Previsti 102.910 posti numerati (costo di costruzione un milione l’uno), il 70 per cento coperti. Contemplati i campi di tennis, baseball, rugby, football americano, palazzo del ghiaccio e addirittura un porticciolo turistico. “Bellissimo”, dice il Sindaco. Costo delle infrastrutture il grosso problema”. A margine, il virgolettato di Viola: “Avevamo preso un impegno con il Coni e la sede comunale: offrire qualcosa di concreto entro il 31 gennaio. Abbiamo anticipato i tempi, siamo riusciti nell’impresa con oltre dieci giorni di anticipo. (…) Il nostro augurio è che Roma possa disporre di una struttura così bella (…) Per opporsi ad un progetto del genere, bisognerebbe esaminare bene di cosa si tratta. E solo dopo aver valutato tutto, si può esprimere un’opinione. Bisogna parlare di cose reali (…) Ho avuto un gran piacere nel poter replicare a quanti sollevavano perplessità che, per il Comune, l’opera avrà costo zero (…) Vedete, le sopraelevate non mi spaventano, sono i “sotteranei” ad incutermi qualche timore…”. Parole sibilline, in perfetto stile “violese”. Di spalla, nella stessa pagina, un altro editoriale di Luigi Ferrajolo titolato “Massima trasparenza, niente intrallazzi su cinquecento miliardi”.“(…) Gli stadi in Italia sono vecchi, fatiscenti o, nel migliore dei casi, inadeguati, poco accoglienti. Sotto questo profilo, stiamo persino più in ritardo di quanto lo fosse il Messico, a tre anni dal suo mondiale. I 500 miliardi, dunque, vanno spesi bene sino all’ultima lira, senza sprechi, senza manie di grandezza, e soprattutto in totale trasparenza. Vanno spesi con due precisi obiettivi: organizzare dei Mondiali degni dell’attesa e dei tempi; ma nell’occasione, arricchendo il paese di strutture e impianti, di cui è attualmente carente. Senza intrallazzi e tangenti”.

Il 6 febbraio 1987, Viola risponde ad una sollecitazione del tifoso, Domenico Catà, in una lettera privata: “Egregio signor Catà, La ringrazio sentitamente per le sue gentili parole, per quanto ha denunciato sulla buona fede di certi giornalisti e per la Sua adesione alla mia iniziativa tendente a dotare la città di Roma di uno stadio per il calcio. Non so come questa vicenda andrà a finire: certo è che se la “miopia” di certi politici dovesse prevalere, non solo gli sportivi romani, ma tutta la cittadinanza, si vedrebbero privati di una attrezzatura sportiva/ricreativa di notevole rilevanza. Con i più cordiali saluti, Ing. Dino Viola”. Nel 2019, quasi 2020, è noto come le vicenda dei finanziamenti per il Mondiale di Italia 90,  il “megastadio alla Magliana”, la ristrutturazione dell’Olimpico siano andate a concludersi. Il resto della cronaca è agli atti. Lo riporta il giornalista Tiziano Riccardi nell’ASRoma Match Program.

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