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Gravina: “Senza pubblico non è vero calcio”

“Venticinque milioni di telespettatori per tre partite ci dicono della enorme voglia di tornare a vivere il calcio con tutti i suoi riti”

Gabriele Gravina ha rilasciato un’intervista a La Stampa. Il presidente della FIGC, tra le altre cose, ha parlato dei tifosi negli stadi.

Oggi quanta soddisfazione proverà alla palla al centro?
«Molta. Ricompensa me e i miei collaboratori per gli attacchi subiti in questo periodo, tensioni superate grazie al gioco di squadra»

Ha scoperto più amici o più nemici?
«È nelle difficoltà che le persone rivelano la propria natura e la propria lealtà. Ecco, diciamo che ho fatto una certa selezione. C’è chi mi ha deluso, ma cerco di cogliere il lato positivo: almeno hanno gettato la maschera e così ho capito chi sta da una parte e chi dall’altra».

I nomi?
«Non sono uno vendicativo. Non mi interessa fare nomi, processi e neanche distribuire meriti, ma solo recuperare le energie disperse per tamponare i troppi attacchi».

Calcio sempre al centro del fuoco, quello amico compreso: perché?
«Perché si è sempre complicato la vita da solo, ha voluto vivere troppo spesso in maniera egoistica. Distaccato rispetto al sistema che lo sorregge. Atteggiamento che abbiamo pagato, ma io credo fin dal primo giorno della mia gestione di aver frantumato quella campana di vetro sotto cuivivevail pallone».

Si aspettava maggiore appoggio dal presidente del Coni Malagò?
«Rispetto le diverse opinioni e le diverse ragioni politiche se portano a un confronto, se sono animate dalla voglia di condivisione e non da simpatie o antipatie personali. La questione non sono i rapporti con Malagò, io mi aspettavo una maggiore condivisione anche dall’intero sistema. Solo perché all’inizio del lockdown abbiamo detto che il calcio faceva da volano al sistema, siamo stati aggrediti e tacciati di arroganza. Non chiedevamo privilegi, ma il riconoscimento della nostra centralità. E invece c’è chi ha ragionato in base al proprio orticello».

Sarà dura fare pace con il presidente del Coni?
«Appianeremo le divergenze, conosciamo il nostro ruolo».

Pesi e contrappesi elettorali farebbero pensare che si è giocato il mandato bis con questa sua battaglia?
«Sarebbe preoccupante se venissi giudicato solo per questi tre mesi. Non credo sarà così, dovessi ricandidarmi mi farebbe piacere essere valutato per la progettualità della mia gestione».

Era all’Olimpico per la finale di Coppa Italia, che calcio ha visto: vivo, convalescente o ancora malato?
«C’era l’euforia e la speranza per la ripartenza, ma senza pubblico era uno spettacolo monco».

Quando riapriranno gli stadi?
«Quando saremo definitivamente al riparo dal virus grazie al vaccino».

Quindi porte chiuse per tutto questo campionato?
«Nell’attesa del vaccino, non chiediamo sconti ma di essere trattati alla pari di altri settori dello spettacolo, come il teatro e gli eventi all’aperto. Siamo pronti, devono solo darci il via».

Certo le scene di Napoli non aiutano?
«Inutile dirlo, è stato un comportamento negativo. Ma venticinque milioni di telespettatori per tre partite ci dicono della enorme voglia di tornare a vivere il calcio con tutti i suoi riti».

In Germania e in Inghilterra abbiamo visto calciatori in ginocchio dopo un gol in segno di protesta contro le discriminazioni. Da noi nessuno. Il nostro calcio è meno sensibile?
«Intanto ci sono stati pochi gol. Ma dettaglio a parte, non siamo meno sensibili e le nostre società l’hanno dimostrato più volte in passato»

C’è la paura dei singoli ad esporsi allora?
«Siamo stati attanagliati da quello che ci è successo, dai nostri lutti. Non posso pensare che il nostro campionato abbia una diversa percezione verso il razzismo».

Il calcio avrà imparato la lezione dalla grande paura?
«Sarebbe un doppio fallimento se non fosse cosi».

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