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Castellini: “La Roma può e deve giocarsela fino alla fine per il quarto posto”

“Si può parlare di calcio, soprattutto se si parla di Roma”

In vista di Roma-Sampdoria, il doppio ex Paolo Castellini si è raccontato nell’AS Roma Match Program della sfida di mercoledì all’Olimpico.

Prima di parlare di calcio e di ricordi, un punto sulla situazione attuale. Lei vive in Lombardia, come evolve la situazione da quelle parti? E come si sente?
“Io, la mia famiglia, bene. E questa è una fortuna. La situazione è decisamente migliore rispetto a un mesetto fa. Io sono di Brescia, lavoro a Bergamo. Proprio le zone più colpite dal Covid. Ora siamo tutti in ripartenza, le attività sono riaperte, però la gente di qui vuole capire qualcosa di più. Chi ha sbagliato e perché. C’è bisogno di risposte convincenti”.

È tornato anche il calcio. Nei mesi scorsi, tifosi dell’Atalanta e del Brescia si erano dichiarati contrari alla ripresa. La sua posizione?
“Per me è giusto ripartire. Sono un addetto ai lavori, da qualche anno lavoro come procuratore sportivo nella scuderia di Tullio Tinti. È importante per il paese che anche il calcio torni ad essere lo spettacolo che tutti conosciamo, nonostante si giocherà a porte chiuse e il pallone non rotola da tre mesi sui campi della Serie A”.

Qualche calciatore della vostra agenzia è stato contagiato dal Coronavirus?
“Di quelli di mia stretta competenza, no. C’è stato Mattia Zaccagni del Verona, che comunque ora sta bene. Di lui s’è occupato il mio socio, Fausto Pari. Ma tutto adesso è tornato nei ranghi”.

Si può parlare di calcio, dunque?
“Si deve. Soprattutto se si parla di Roma. Io sono un simpatizzante”.

Per simpatizzante intende tifoso?
“Esattamente. E non è cosa di tutti i giorni, glielo assicuro, essendo nato nel bresciano”.

Merito di?
“Di alcuni ex compagni di squadra, che mi hanno “educato” in questo senso (ride, ndr). Cito soprattutto Scarchilli e Petruzzi. Alessio lo conobbi al Torino, Fabio al Brescia. Mi facevano sentire di continuo l’inno della Roma, i gol di Carlo Zampa. Erano gli anni dello scudetto e delle stagioni successive. Posso raccontare anche un aneddoto molto divertente proprio con Scarchilli”.

Deve.
“Avevamo finito di giocare una partita a Reggio Calabria il pomeriggio. Perdemmo 2-1. Subito dopo, ci imbarcammo sul primo aereo per Roma per andare a vedere il derby, che si sarebbe giocato in posticipo serale. Avevamo tre biglietti. Uno per me, uno per Alessio…”.

E il terzo?
“Lo regalammo al tassista che ci portò dall’aeroporto”.

Che derby era?
“Quello in cui Antonioli parò il rigore a Mihajlovic all’ultimo minuto di gara”.

Anno 2002, gol di Delvecchio e Batistuta per la Roma.
“Esattamente, quello lì. Finì 2-2, una partita molto bella, appassionante. Ne valse la pena, nonostante le corse continue per arrivare all’Olimpico in tempo”.

Otto anni dopo si trovò proprio a Trigoria, stavolta da calciatore a tutti gli effetti. E ritrovò pure Scarchilli, da commentatore di Roma Channel.
“Vero. Infatti Alessio fu molto prezioso per me all’inizio. Mi aiutò tanto ad inserirmi e a capire determinate logiche”.

Restò un anno solo. Deluso?
“Ma no, doveva andare così evidentemente. Per me fu una soddisfazione enorme far parte della Roma e giocare la Champions League, in stadi importanti. Sapevo del ruolo che avrei avuto prima di arrivare, per dare più soluzioni all’allenatore. Conoscevo bene Claudio Ranieri, avendoci lavorato a Parma. Un grande uomo e un grande tecnico, per me. Ci sarebbe stata pure la possibilità di restare più a lungo, ma il momento storico era particolare. E la squadra non rese per quello che valeva”.

Quale fu il problema principale, all’epoca? Forse il passaggio di proprietà tra i Sensi e il gruppo americano, che si sarebbe avvicendato nei mesi successivi?
“Sì, diciamo che la situazione societaria non era semplicissima. Era in atto la reggenza della banca Unicredit, con la presenza comunque della famiglia Sensi. Mancava una figura di spessore in grado di farsi carico delle diverse problematiche, per poi garantire e supportare la squadra. Non andò così e la stagione naufragò. A mio avviso, ad esempio, gli ottavi di finale di Champions contro lo Shakhtar Donetsk si sarebbero potuti superare. Era un turno ampiamente alla nostra portata”.

Lo Shakhtar Donetsk fa pensare a Paulo Fonseca, anche se allora l’allenatore degli ucraini era Lucescu. Le piace il tecnico portoghese della Roma di adesso?
“Molto. Ha idee chiare, innovative, moderne. E poi, ha saputo adattarsi alla Serie A in fretta con intelligenza. È un tecnico concreto, ma allo stesso tempo la sua proposta di calcio è interessante”.

Cosa aspettarsi da questo inedito finale di stagione?
“La Roma può e deve giocarsela fino alla fine per il quarto posto. Non sarà semplice perché l’Atalanta è ormai una realtà consolidata del nostro calcio, però dodici partite sono tante, i punti in palio altrettanti, e ci sarà questo fattore nuovo di giocare ogni tre giorni fino alla fine. Vedremo che ne uscirà fuori. Non sarà facile per loro, come non lo sarà per nessuno. La cosa più importante, comunque, è ripartire. Torna pure la mia Roma in campo. Finalmente”.

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