Due splendidi assist, una traversa, un’espulsione provocata: in un’ora ha conquistato tutti
ABraham è stato capace, semmai ce ne fosse stato bisogno, di farci dimenticare in un amen i centodiciannove gol di Dzeko che, nonostante il comportamento, in più di qualcuno legittimi rimpianti li aveva lasciati, al motto chissà quando ne rivedremo uno così.
Eccolo signori, questo ragazzo che a noi piace pensare più africano che europeo, in grado di farci commuovere ogni volta che chiamava la palla; in tutte le occasioni in cui il pallone l’aveva tra i piedi; soprattutto quando ci ha chiamato, coinvolto come Edin non l’abbiamo quasi mai visto fare, come se da queste parti fosse nato e cresciuto, con quella maglia, con quei colori, con quel senso di identità che appartengono a tutti noi che al nome Roma continuiamo a emozionarci come eterni Peer Pan, felici di continuare a esserlo.
È stato capace, pur senza aver buttato il pallone in porta, di farci credere che alla terra promessa ci arriveremo. Ci ha trasmesso la sensazione, forte e chiara, che da queste parti è atterrato, felice di farlo, un prospetto di campione. Completo. Fisico, tecnico, con una capacità di andare in profondità che è una manna per qualsiasi allenatore, con un senso del gioco che è quello dei grandi giocatori.
Corre, lotta, urla, chiama, prende botte, le restituisce, dando la sensazione che in quella maglia numero nove che ha ereditato dal bosniaco che è voluto andare via, ci fossimo tutti noi, pronti a sputare l’anima per la nostra Roma.
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