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Mourinho: “Rinnovo? Non lo so. Amo il romanista puro, ma c’è anche tanto anti-mourinhismo nella capitale”

Nuove dichiarazioni di Josè Mourinho che ha parlato di Roma, del possibile rinnovo, dei tifosi ma anche di arbitri e obiettivi

Pubblicata da Sky Sport la seconda parte della lunga intervista a Josè Mourinho. Ecco l’estratto riferito anche alla Roma con alcuni passaggi sul ‘Mourinhismo’ e la possibilità di un rinnovo di contratto, che allo stato attuale la società non gli ha ancora ufficialmente proposto:

Esiste il mourinhismo?
«Anche l’anti mourinhismo. Specialmente a Roma, ci sono entrambe le fazioni. Il mourinhismo lo conoscono le persone che sanno cosa ho fatto. L’anti mourinhismo è cavalcato da gente felice in tutto il tempo in cui la Roma non vinceva una coppa, non aveva alcun tipo di successo europeo. Si divertono in radio e va bene. L’anti mourinhismo vende, il mourinhismo è un modo di stare nella vita più che nel calco. Lo dico perché trovo gente per strada, in ogni punto del mondo, che si identifica con me e con il mio modo di stare nella vita. Per, comunque, la partita più importante è sempre la prossima. Il resto è il passato, è storia».

La scelta di andare a Roma? Questo posto ha qualcosa di speciale
«Quando sono arrivato qui, non conoscevo la Roma. Ci ho giocato contro con l’Inter, mentre con il Porto ho giocato non contro la squadra più importante della città. Non conoscevo la Roma né come città di cuore calcistico, né la società AS Roma. Avevo allenato tre grandi squadre in Inghilterra, Manchester, Chelsea e Tottenham e volevo quindi andare fuori dall’Inghilterra. La Roma è arrivata con un discorso che mi è piaciuto, ed è stata la proprietà che mi ha fatto venire. Dopo, quando sono arrivato e ho imparato a conoscere il romanismo, ho imparato a conoscere tutti i loro dubbi, ho imparato a conoscere tutte le loro frustrazioni e ho cercato di entrarci dentro. Mi sono fatto tante domande, cui ho bisogno di rispondere con il tempo. Mi sono affezionato tanto al romanista. Mi piace il romanismo. Mi piace il romanista puro, mi piace il romanista della strada, che va la mattina a Trigoria solo per avere una foto. Mi piace la gente che segue la squadra ovunque. Quando arrivi in due finali europee e prendi la città con te, quando tu piangi di gioia con loro, tu diventi ancora più uno di loro. È ciò che sento adesso, è stato naturale. Quando sono in panchina e guardo alla destra all’Olimpico mi emoziono ancora. Quando guardo dietro di me non mi piace tanto, ma quando guardo alla mia destra mi fa venire i brividi, è gente che rimane con me, anche quando un giorno andrò via».

Quando guardi dietro di te, intendi la tribuna.
«Sì ma non solo a Roma, succede ovunque. Alcuni vanno a bere champagne, mangiare e altri invece fanno un lavoro enorme, non mangiano o mangiano male, dividono la macchina perché magari non hanno molti soldi, mentre gli altri sono i dottori del calcio. Il calcio è lo sport più popolare del mondo, si può giocare anche con una pietra per strada e sta diventando invece uno sport per l’elite, non nella pratica ma nella gente che sta dietro di te. Chi sta a destra e a sinistra (le curve, ndr) è invece veramente innamorata del calcio».

Il murale con la vespa a Testaccio?
«La vespa è lì a Trigoria, me l’ha regalata la proprietà quando sono arrivato. Quando si entra a Trigoria, purtroppo, non ci sono tante coppe e lì c’è la vespa. Ora la lascio lì, quando un giorno andrò via la porterà con me».

Tu hai detto che rimarrai altri 6-7 mesi. Ce ne possono essere di più?
«Non lo so. Prima di Budapest ho promesso ai calciatori che sarei rimasto. Dopo lo Spezia, all’Olimpico, con i gesti ho detto ai tifosi che sarei rimasto qua e adesso sono qua».

L’allenatore è un uomo solo?
«Ci sono modi diversi di analizzare la tua domanda. Quando vinci, tu hai difficoltà a camminare perché tutti stanno con te. Quando perdi, tu sei solo. Ovviamente, tu hai assistenti che stanno sempre con, c’è la famiglia, ci sono amici ma quando vinci hai difficoltà a camminare. Se perdi, sei solo. Questa la mia esperienza dopo più di 20 anni. Poi c’è l’uomo solo per scelta propria e, tante volte, io ho bisogno di rimanere da solo, di pensare da solo e qualche volta io sono con loro ma sono da solo perché sto nel mio mondo, non sento nessuno. Magari qualcuno sta anche male a stare con me in quei momenti, sono come ibernato nei miei pensieri. Per me, è un isolamento necessario».

Il rapporto con gli arbitri è anche strategia o nasce tutto sul campo?
«Strategia di cosa? Non capisco queste cose. Non c’è strategia, c’è un gruppo di gente che lavora tanto e parlo di me, del mio staff, dei giocatori, del club, del popolo e c’è la difesa del popolo. Io sono una persona che quando sente un’ingiustizia ha difficoltà a conviverci. Non mi piace l’ingiustizia, anche quella sociale, ovunque. Non c’è alcuna strategia. Nel calcio, l’unico che può sbagliare e ha un aiuto per rimediare al suo errore è l’arbitro. L’allenatore, quando sbaglia, non può fermarsi e rifare da capo. Nemmeno il calciatore può tornare indietro, se sbaglia a due metri dalla porta. L’arbitro può farlo con gli assistenti, il quarto uomo, il VAR. Gli arbitri, quindi, devono sbagliare di meno. Quando vendo ingiustizie contro il mio popolo vado in difficoltà, è il mio modo di vivere».

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