La leggenda della Roma Bruno Conti non trattiene tutta la sua stima ed il suo affetto per De Rossi. Ecco le sue dichiarazioni rilasciate al Corriere della Sera in cui parla anche dell’allenatore giallorosso.
Lei ha debuttato in A 19enne, 50 anni fa. Era già pronto o fu Liedholm a buttarla nella mischia?
“Non mi sentivo pronto, ma il Barone me lo disse all’ultimo, fu questo il segreto”.
La Roma è ancora parte della sua vita, un caso unico.
“Soprattutto se penso che ho realizzato il sogno di mio padre, che era un tifoso romanista e ha cresciuto sette figli. Ho giocato, allenato i ragazzi, la prima squadra, ho fatto II direttore tecnico e del settore giovanile: quando potevo essere d’aiuto non mi sono mai tirato indietro”.
Se oggi deve spiegare a un ragazzino che cosa è il professionismo, che parole usa?
“Il problema è spiegarlo ai genitori. Noi siamo cresciuti in strada, pensando solo a divertirci. Oggi se a 11 anni un bambino viene selezionato c’è un’esasperazione incredibile. Si pensa solo al risultato, a litigare e a sovrastare gli altri, invece di far capire poche cose, ma con chiarezza”.
Quali?
“L’importanza della scuola, prima di tutto. Poi che il calcio e lo sport vanno vissuti come divertimento. Se uno è bravo, arriva. Io sono stato bocciato a diversi provini, ma non mi pesava e il giorno dopo ero a giocare con gli amici”.
Se la Roma è l’amore di una vita, la Nazionale cosa è stata?
“La prima convocazione con il Lussemburgo fu un sogno e dalla seconda con la Danimarca non sono più uscito: vincere il Mondiale significa ricevere ancora oggi lettere da Giappone, dalla Cina, dalla Croazia. Vuol dire lasciare un segno nella gente”.
Lei è stato campione del mondo, ma ha sbagliato un rigore chiave in finale di Coppa dei Campioni, per giunta a Roma: un campione ricorda di più i momenti di gioia o quelli brutti?
“Nessun italiano in tre anni consecutivi ha vinto Mondiale, scudetto e Coppa del Campioni e io ci sono andato molto vicino. Ma lo sport è fatto di gioie e dolori: questi te li porti dietro, bisogna accettare le sconfitte e reagire, perché il calcio bello comunque”.
“Per me Daniele è sempre stato un allenatore in campo, per l’intelligenza tattica e per le scelte che faceva: quando vedevo Ancelotti in campo avevo la stessa sensazione. Poi è un grande uomo, mai banale: ha preso la squadra in un momento delicato e si sta dimostrando un allenatore vero, preparato in tutto. Sono contentissimo per lui”.
C’è un ragazzo del settore giovanile delia Roma su cui non avrebbe scommesso e che invece è arrivato in alto?
“Politano era considerato come me, troppo gracile. Nessuno ci credeva invece è arrivato dove è arrivato. Ma quello che mi ha dato più soddisfazione di tutti è proprio De Rossi: lo avevamo preso come attaccante, poi è stato spostato in mediana ed è diventato grande. Anche per questo vederlo oggi sulla panchina della Roma è speciale”.