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Lindsey Thomas: “Adoro Roma e la sua gente. In Italia il campionato è molto più equilibrato che in Francia”

L’attaccante giallorossa: “Ero l’unica ragazza della mia isola che giocava a calcio. Ho accettato con entusiasmo l’offerta di venire alla Roma”

Da una piccola isola della Guadalupa in cui era l’unica ragazza a giocare a calcio fino alla Roma, passando per la Francia e la Svizzera, superando le difficoltà legate alla timidezza e alla lontananza dalla famiglia. Ecco l’intervista realizzata dalla Roma alla giocatrice Lindsey Thomas:

Chi era Lindsey da bambina?
“Ero una bambina molto tranquilla, calma ed educata. Non creavo mai problemi. Mi piaceva giocare e divertirmi e mi trovavo meglio con gli amici maschi. Con le altre bambine o ragazze ho sempre trovato un po’ più di difficoltà”.

Dove sei cresciuta?
“Sono nata in Guadalupa, precisamente a Saint-Claude ma sono cresciuta con i miei nonni a Terre-de-Haut una piccola isola di un arcipelago a sud, le Iles-Des-Saintes e lì sono stata fino a quando avevo 15 anni. La Guadalupa è un dipartimento d’oltre mare della Francia nei Caraibi, c’è una lingua locale ma parliamo tutti francese. È una regione della Francia a tutti gli effetti, c’è anche l’Euro”.

Qual è il tuo primo ricordo legato al calcio?
“Mio cugino giocava nella prima squadra dell’AJSS Les Saintes, il club della mia isola. Mio nonno mi portava sempre a vedere le partite in casa. Poi mio cugino ha iniziato a invitarmi a giocare e mi sono appassionata. Nella nostra isola c’è un centro sportivo con un piccolo stadio in cui la squadra si allena e gioca le partite. Nello stesso complesso ci sono due campi da calcetto”.

Come ha iniziato a fare calcio?
“Ho iniziato a 7 anni nella stessa squadra di mio cugino, l’AJSS. Per giocare le partite dovevamo sempre raggiungere in barca l’isola più grande nella quale c’erano le altre squadre, in tutto ce n’erano 8 se non ricordo male. Non si trattava di una squadra femminile, io ero l’unica ragazza della mia isola che giocava a calcio. Quindi c’eravamo io e 14 ragazzi. Con loro ho giocato per 7 poi sono partita per la Francia”.

Da piccola seguivi il calcio francese?
“Ho iniziato a seguirlo da quando avevo 10 anni. Come squadra mi piaceva e mi piace ancora oggi il Lione. Poi vedevo anche le partite della nazionale francese. Come giocatori quelli che apprezzavo di più erano Thierry Henry, Karim Benzema, Franck Ribery, Juninho Pernambucano. Crescendo ho iniziato a seguire più gli attaccanti come Kylian Mbappé, Robert Lewandowsky e Alexandre Lacazette quando era al Lione”.

Le partite le vedevi a casa con i tuoi familiari oppure con i compagni di squadra?
“A casa no, non avevamo i canali che trasmettevano il campionato francese, quindi mi organizzavo con i miei compagni. La nazionale però la vedevo anche a casa. Il primo grande evento che ho seguito sono stati i Mondiali del 2006”.

Nel calcio femminile invece quali sono i tuoi idoli o modelli?
“Mi piace seguire tutti i campionati ma quello francese ovviamente è quello che conosco meglio. Mi piacevano molto Dzsenifer Marozsàn, Eugénie Le Sommer, Kadidiatou Diani e Amel Marji. Ho visto tante partite del Mondiale del 2019 mi è piaciuta tantissimo l’Inghilterra, mi ha sorpreso positivamente il Brasile e c’è poco da dire sugli Stati Uniti che hanno una squadra fortissima”.

Come si è aperta la possibilità di trasferirti in Francia?
“Il mio allenatore all’AJSS era andato a Bordeaux per un torneo e lì ha visto una squadra di ragazze e si è informato su come avrei potuto entrare a farne parte. Tra i passaggi necessari c’era il superamento dell’esame di licenza media. L’ho sostenuto a Bordeaux e quindi sono potuta entrare in squadra”.

Come hai vissuto il passaggio dai Caraibi all’Europa?
“All’inizio è stato difficile, ero completamente sola. Non mi ero mai allontanata dalla mia famiglia e non ero mai stata in Francia. Ero felice di poterla scoprire ma ho dovuto cambiare tante delle mie abitudini. Vivevo in un collegio e i primi mesi è stato difficile da accettare, soprattutto il dover dormire condividendo la camere con le altre ragazze senza avere uno spazio mio. Poi le cose sono gradualmente migliorate”.

E il passaggio tra una squadra maschile e quella femminile come lo hai vissuto?
“Inizialmente non mi facevo domande, giocavo come avevo sempre fatto. Un giorno però un’altra ragazza mi ha detto una cosa che mi ha destabilizzato un po’: ‘Tu non devi fare con noi le stesse cose che facevi quando giocavi con i maschi’. Non so di preciso a cosa di riferisse, probabilmente parlava dell’intensità o del mettere il piede nei contrasti. Però questa frase mi ha messo un po’ a disagio, avevo timore di comportarmi in maniera sbagliata e questo ha un po’ influenzato negativamente la mia crescita calcistica in quel periodo”.

Dopo un anno a Bordeaux ti sei trasferita a Montpellier…
“Sì, lì ho completato il percorso delle giovanili fino a firmare il mio primo contratto. È una città in cui mi sono trovata benissimo, c’è un bel clima, il mare è vicino. Anche lì vivevo in un collegio durante la settimana, poi nel weekend ero ospitata da una famiglia. Appena ho compiuto 18 anni mi sono trasferita in un appartamento da sola: finalmente potevo godermi i miei spazi. A livello di squadra però ho vissuto dei momenti difficili, in cui mi sembrava sempre di dover ricominciare da capo dopo ogni momento negativo”.

Dopo Montpellier sei andata al Basilea: come ti sei trovata in Svizzera?
“All’inizio mi sentivo molto insicura e timida, ma dopo un po’ mi sono ambientata e ho passato 6 mesi positivi. Poi è cambiato l’allenatore e la seconda parte non è stata positiva come la prima”.

E a livello di clima? Non si è accentuato il senso di lontananza dalla Guadalupa?
“Sì, un po’ ma per fortuna nelle vacanze di Natale sono tornata a casa. A ripensarci, di situazioni di difficoltà che mi hanno messo alla prova ne ho affrontate, però sul momento le ho vissute senza pensarci troppo. In generale la mancanza che sento è sempre per la mia famiglia, non per la Guadalupa in sé visto che in Europa mi trovo benissimo. Dopo il Basilea sono tornata al Montpellier e da lì per sei mesi al Girondins Bordeaux che nel frattempo aveva creato la propria squadra femminile. L’ultima squadra in cui ho giocato in Francia è stata il Digione. Dopo di che sentivo il desiderio di conoscere una nuova realtà e ho scelto di venire alla Roma”.

Quando hai capito che il calcio poteva diventare la tua vita?
“Da quando sono arrivata in Francia ho sempre avuto come obiettivo quello di firmare un contratto con una squadra. Sapevo però che sarebbe stato un percorso lungo. E una volta riuscita a firmarlo sono passati tre anni prima che iniziassi a rendermi conto che ce la stavo facendo. Ho avuto questa fortuna ma ho continuato a guardare avanti e a dare il massimo per raggiungere altri obiettivi”.

Come si è concretizzato il passaggio alla Roma?
“Ho voluto cercare un nuovo inizio, ne avevo abbastanza di cambiare ogni anno squadra in Francia. Poi un’occasione con un grande club come la Roma non capita due volte quindi ho accettato con entusiasmo. Mi piaceva questo progetto rivolto al futuro. Ero abituata a viaggiare e in questo caso in più c’era la possibilità di conoscere una cultura differente”.

Che differenze hai trovato tra il campionato francese e quello italiano?
“In Italia si lavora molto i più sulla condizione fisica e sulla tattica. La Serie A rispetto alla D1 è più equilibrata. Ci sono squadre che hanno un passo superiore, ma mentre in Francia sono due, qui sono quattro. Ogni partita è difficile, anche le squadre sulla carta sfavorite non rinunciano a provare a giocare”.

A Roma come ti trovi?
“È una città molto bella, non ero mai stata in Italia. Il clima mi piace molto, il mare non è lontano e le persone sono molto gentili e aperte. Anche nella squadra mi trovo benissimo. All’inizio come sempre ero molto timida ma le compagne mi hanno dato fiducia da subito. Coach Betty Bavagnoli mi parla tanto e questa è una cosa di cui ho sempre avuto bisogno. C’è una mentalità molto positiva e mi sento molto coinvolta”.

In più hai già raggiunto un ottimo livello di italiano…
“Abbiamo iniziato a settembre con le lezioni ma ho trovato molto facile iniziare a capirlo visto che non è così differente dal francese. Mi sono imposta di imparare a parlarlo il prima possibile perché so quanto sia un problema non riuscire a comunicare con le compagne, l’ho provato a Basilea con la difficoltà del tedesco”.

In campionato finora hai realizzato 9 gol: qual è la partita che ricordi con più piacere?
“Quella di Empoli. Era una partita fondamentale per noi, su un campo pesantissimo. Ho segnato l’1-0, poi hanno pareggiato e nel finale ho segnato ancora per il 2-1. È stata una partita speciale, che ricordo con grande piacere. Al contrario ad esempio della doppietta in casa del Milan, della quale mi resta solo la frustrazione per una partita dominata per 70 minuti in cui siamo andate sul 2-0 per poi perderla inspiegabilmente negli ultimi minuti”.

Come hai vissuto lo stop dovuto al Covid-19?
“All’inizio ero tranquilla, per due o tre settimane ho vissuto serenamente la pausa in attesa di vedere come si sarebbe evoluta la situazione. Poi è aumentata la stanchezza di restare sempre in casa, sola, senza pallone, senza allenamenti in campo e senza lo spogliatoio. Ho vissuto un po’ di alti e bassi, non è stato per niente facile. Vorrei troppo ricominciare con gli allenamenti normali dopo giorni e giorni di corsa sul tapis roulant. Mi sono resa conto ancora di più di quanto sono fortunata a fare un lavoro che amo. Restare a casa, senza la pressione delle partite da preparare, senza condividere la quotidianità con le compagne è molto pesante. Spero ci sia la possibilità di riprendere al più presto”.

Come hai passato il tempo del lockdown?
“Ho provato a sfruttarlo al meglio ma restando in casa per tutto questo tempo dopo un po’ non si sa più che fare. Ho letto un po’, ho preso il sole sul balcone, ho cercato di decidere come continuare con l’università. Sono iscritta scienze motorie ma in Francia, mi manca un anno e devo decidere se proseguire a distanza o se proseguire i corsi qui a Roma. Un’altra soluzione potrebbe essere di cambiare percorso e studiare da nutrizionista”.

Di film ne hai visti?
“Sì, tanti e ho approfittato per vederli in italiano per mantenermi allenata ad ascoltarlo. Ho visto Hunger Games, Collateral Beauty, John Wick 1, 2 e 3, Sherlock Holmes e tutta la saga di Harry Potter”.

In tutto questo percorso, c’è un consiglio che hai ricevuto che ritieni sia stato il più importante per te?
“Sono andata lontano da casa da giovane e le indicazioni che mi sono sempre portata dietro me le hanno date i miei genitori: lavorare duro se voglio raggiungere un obiettivo, non pensare mai di avere già tutto, restare sempre una persona semplice, leale e giusta. L’educazione rigida che ho ricevuto dalla mia famiglia è stata fondamentale soprattutto nel momento in cui sono venuta da sola in Francia. Senza di questa sarebbe stato tutto più difficile per me”.

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