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Si chiama Totti, ma non gioca a calcio. La storia di Cristian, che salva vite con la Sea Watch

La storia di Cristian Totti, imprenditore italo tedesco e omonimo del figlio dell’ex capitano giallorosso, nonché suo lontano parente

Se pensiamo a Cristian Totti ci viene in mente una sola persona, il figlio di Francesco, attualmente nell’Under 15 della Roma e un domani, chissà, erede di quel numero 10 che ha fatto sognare intere generazioni. Ma esiste un suo omonimo, parente della famiglia Totti, che di mestiere fa tutt’altro. E’ la storia comparsa sulle colonne del quotidiano Il Romanista, il cui protagonista è un imprenditore italo tedesco che ha votato la sua vita ad una causa enorme: salvare vite umane in mare.

“Il mio bisnonno era fratello del bisnonno di Francesco, provenivano da Monterotondo. Era una famiglia molto grande, credo dieci o undici fratelli e sorelle, vivevano a Roma a piazza Grillo. Ma abbiamo perso da molti anni i contatti, da quando mio padre è morto, nel ’97” racconta Cristian nella sua intervista. “Non ci siamo mai incontrati. Non seguo lo sport, non ho una squadra per cui tifo né in Germania né in Italia, però mi piace giocare a calcio. So cosa rappresenta Totti per la città di Roma. Se mi piacerebbe incontrarlo? A chi non piacerebbe, è un personaggio molto positivo. È magnifico quando personalità così famose e amate fanno qualcosa per gli altri, lanciano un messaggio enorme. Mi piacerebbe mandargli la t-shirt di chi è in mare con noi”.

Cristian ha un’azienda di materiali meccanici a Wüppertal, in Vestfalia, ma appena può si imbarca per aiutare l’organizzazione Sea Watch ad evitare le tragedie dei naufragi delle navi carichi di migranti nel Mediterraneo: “Nel 2015 ho fatto domanda stilando un elenco di tutto ciò che so fare: parlo italiano, so arrampicarmi, so andare sott’acqua, ho la patente nautica, so fare il meccanico. Mi chiamarono a gennaio del 2016, chiedendomi se fossi libero per il weekend per andare ad Amburgo dove c’era la prima riunione per conoscersi. Avevo visto che il periodo della missione era di due o tre settimane e per me poteva andar bene. C’erano già la Sea Watch 1 e 2. La missione era poi a metà maggio».

Da quel giorno ha già partecipato a sei missioni, tutte nel Mediterraneo. Tra le sensazioni che restano, assicura Cristian, c’è quella di aver centrato l’obiettivo, di esser riusciti in ciò che accende il motore del cuore e fa salpare verso il largo: “Il momento più bello è sempre quello che segue i salvataggi, sulla nave. I migranti erano tutti a festeggiare, ballare, urlare per la gioia e io mi sono sentito come quello che ha fatto il gol decisivo. Sono venuti ad abbracciarmi quando hanno realizzato che ero io che guidavo il gommone. Una bella scena, ma anche molto triste, perché noi già sapevamo che il loro viaggio non era finito“.

QUI L’INTERVISTA INTEGRALE

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