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Nuovo stadio nell’era Friedkin: “Mercati generali o Gazometro”

Ecco l’idea dei Friedkin per lo stadio della Roma

All’ombra del Gazometro. Oppure sulle spoglie degli ex Mercati generali. Che sia sul lato che si specchia nel Tevere o su quello che guarda la Garbatella, la Roma ha messo gli occhi sull’Ostiense per calare il progetto del nuovo stadio giallorosso. I primi documenti sono già stati vagliati e la prima opzione prevederebbe una collaborazione con Eni, che sui suoi terreni avrebbe in mente di realizzare una città della sostenibilità con tanto di mini-ateneo. Come sanno bene i tifosi, euforici per la notizia dell’arrivo di mister Josè Mourinho, “sostenibilità” è la parola chiave della presidenza Friedkin.

L’idea di calare uno stadio da non più di 40 mila posti in un contesto simile intriga, tanto più che per la bonifica bisognerebbe sbancare di 5 metri l’area e che l’operazione è una delle basi per realizzare la base di un ipotetico impianto sportivo. Poi ci sono i Mercati generali. Il Campidoglio è stufo di attendere la loro riqualificazione e presto gli uffici del Comune potrebbero mettere in mora il gruppo Toti, concessionario dell’opera già approvata.

Se l’area dovesse liberarsi, potrebbe finire al centro degli appettiti romanisti. Con il rischio, però, di incrociare di nuovo il vecchio partner in affari: anche Radovan Vitek avrebbe espresso il suo interesse per gli ex Mercati generali. Un incontro che, dopo le minacce di risolvere in tribunale lo stop alla joint venture sull’ormai ex progetto di Tor di Valle, potrebbe risultare particolarmente piacevole. Soprattutto per la Roma, che si sente sotto ricatto: la delibera con cui è stato sancito il pubblico interesse per lo stadio sui terreni dell’Eurnova di Luca Parnasi è ancora in piedi nonostante il “no” del club di Trigoria a un progetto mastodontico e definito “non più sostenibile»” da realizzare peraltro su un terreno ancora pignorato.

La promessa del Campidoglio grillino di ritirare il pubblico interesse entro 30 giorni per iniziare a lavorare su un’altra area non è stata mantenuta. Ne sono passati più di 45, quasi 50, e la situazione non è ancora cambiata. E la dirigenza romanista si è iniziata a chiedere perché. Anche per questo balletto politico-burocratico, se Eni fosse disposta ad aprire una trattativa, in ottica futura la Roma preferirebbe mettersi al tavolo con un privato più che puntare su un’area interamente di proprietà pubblica. Lo scrive “La Repubblica”.

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