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Mkhitaryan: “Scudetto? Ci siamo anche noi. Mou non molla mai”

L’intervista al trequartista armeno

Vivace, sveglio. Un cittadino del mondo cresciuto tra percorsi impervi e ostacoli. Henrikh Mkhitaryan dà l’impressione di sapere perfettamente quello che vuole e dove vuole arrivare. Gli bastano pochi minuti per studiare chi ha davanti, prima di lasciarsi andare. “Facciamo l’intervista in italiano, se ho bisogno di approfondire qualche concetto mi faccio aiutare dall’interprete“. Quasi un’ora a parlare di tutto e raramente si rifugia nell’inglese. È un armeno orgoglioso di esserlo, un calciatore che vuole vincere, non giocare a pallone. Siamo nel resort scelto dalla Roma per il ritiro portoghese. La squadra ha da poco finito di pranzare. Il sole penetra nelle ampie vetrate della hall, l’Oceano sconfinato è solo una cartolina per i calciatori della Roma, che possono ammirarlo da lontano. In questa intervista Mkhitaryan racconta le sue ambizioni, il rapporto con Mourinho, la scelta della Roma, il carisma di Dzeko, l’amore per la sua patria e quel brutto fallo nell’amichevole contro il Porto, l’entrata dura di Pepe, che non ha perdonato.

Henrikh, come procede il ritiro? 

Stiamo lavorando bene, cerchiamo di fare tutto quello che il tecnico ci chiedere, lavoriamo su aspetti che nel passato avevamo trascurato.

Su cosa, in particolare? 

Beh no, non posso rivelarlo, è un segreto (ride, ndr).

L’arrivo di Mourinho alla Roma ha riportato nell’ambiente la speranza di vincere. 

Quando giochiamo una competizione, qualsiasi essa sia, l’obiettivo per me è sempre quello di vincere. Se giochiamo a pallone è un conto, ma io gioco sempre per vincere. Non ho mai giocato per divertirmi e basta. Senza i trofei alla fine della carriera non ti resta niente. Io e miei compagni vogliamo vincere per restare nella storia del club.

Ci ha pensato un po’ prima di convincersi a restare alla Roma. 

Non ho avuto dubbi, ma volevo avere la testa fresca per prendere la decisione migliore per me. Avevo avuto delle offerte, in Italia e all’estero, ma la decisione più giusta è stata quella di restare alla Roma.

Con Mourinho il rapporto non era stato facile a Manchester. Vi siete chiariti? 

Quello che è successo a Manchester rimane a Manchester. Noi abbiamo parlato da persone mature, tutti e due vogliamo andare per la stessa strada, tutti e due vogliamo vincere qualcosa per la Roma, l’unica cosa che conta quest’anno.

Mourinho sta trasmettendo alla Roma la mentalità vincente. 

Per lui conta solo vincere. Lo scorso anno ci sono state partite in cui giocavamo benissimo e alla fine perdevamo. È meglio giocare male e portare a casa i tre punti, il contrario a me non piace. È successo lo scorso anno, mancava qualcosa, alla fine abbiamo pagato per una questione di dettagli.

Numeri alla mano, la scorsa stagione è stata la migliore della sua carriera: 15 gol complessivi e ben 13 assist. 

Spero di potermi ripetere, per me quello che conta è che la squadra possa ottenere risultati. Se riesco a dare il mio contributo con gol e assist tanto meglio.

Attaccante esterno o trequartista. Dove preferisce giocare? 

A me piace giocare in qualsiasi ruolo. Lo scorso anno ho fatto anche la prima punta in qualche partita. Ho giocato dietro il centravanti sono stato impiegato da seconda punta, a centrocampo. Con Mourinho al Manchester ho fatto anche il terzino sinistro.

Come ha trovato Mourinho rispetto a quell’anno e mezzo trascorso insieme al Manchester? 

È la stessa persona, ma con più voglia di vincere di allora. Un allenatore come lui non molla mai, vuole vincere sempre. Questa caratteristica è innata, non si acquista con il tempo. Mourinho è speciale per questo.

Anche lei in campo non molla mai. Si è visto anche contro il Porto…

Lo dico chiaro: un giocatore, Pepe, non ha fatto un intervento duro, ma è entrato per fare male. Per questo mi sono arrabbiato. Anche se era un’amichevole, era importante per loro ma anche per noi, ci sono stati scontri decisi. Io in campo sono così. Sempre. Voglio vincere anche in allenamento. Una brutta scena, succede, speriamo non succeda più. Per me è finita lì.

Quali sono le favorite per lo scudetto? 

Il campionato sarà molto equilibrato, ci sono diverse squadre attrezzate per vincere. È difficile per tutti. Noi abbiamo una buona squadra, sappiamo dove vogliamo arrivare. Senza fare proclami, penso solo alla prossima partita, l’amichevole con il Siviglia. Ma chi punta a vincere lo scudetto deve fare i conti con la Roma. Vogliamo fare cose concrete, non mi piace sognare.

Uno dei compagni ai quali è più legato è Edin Dzeko.

Prima di arrivare alla Roma lo avevo incrociato solo in Nazionale. Con l’Armenia battemmo la Bosnia 4-2. È un piacere per me giocare con lui, ho un bel rapporto con Edin come con gli altri. Questa squadra per me è come una famiglia, vinciamo e perdiamo insieme, siamo tutti responsabili di quello che succede.

Nella passata stagione Dzeko è stato messo fuori rosa e ha perso la fascia di capitano.

È stata una brutta storia per tutti, nessuno voleva che si verificasse una rottura così. La cosa positiva è che da allora continuiamo a lavorare e giocare per aiutare la squadra. Trovammo un accordo, saremmo andati avanti fino alla fine della stagione e Edin ci avrebbe dato una mano, come ha sempre fatto. Anche senza la fascia Dzeko è il nostro capitano, per la sua esperienza, per il suo carisma, tutti sanno quanto è importante, tutti lo amano. La fascia non conta. E a 35 anni resta il nostro bomber.

Lei ha scelto Mino Raiola, un procuratore tra i più influenti nel calcio. Ha avuto un ruolo determinante nella sua permanenza a Roma. 

Non è solo un agente, è un amico. Lo conosco dal 2013, quando ero allo Shakhtar e volevo andare via. Mi ha aiutato tanto per i trasferimento al Borussia Dortumund. Lui è felice se i suoi calciatori stanno bene e giocano. Se qualcuno non trova spazio lo aiuta ad andarsene. Poi magari i direttori sportivi non lo amano perché punta a ingaggi alti, ma secondo me ci sa fare e ha una soluzione per tutto.

Lo scrive Il Corriere dello Sport.

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