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Bovo: “Scudetto del 2001? Quella Roma era stratosferica”

“Capello? Gli bastava uno sguardo per farsi capire”

Cesare Bovo, difensore cresciuto nelle giovanili della Roma, aggregato alla rosa che vinse lo Scudetto nel 2001 e oggi collaboratore tecnico di Fabio Liverani al Lecce, ha parlato a Non è la Radio, durante la trasmissione “Febbre da Roma”:

Voi avete già affrontato la Roma di Fonseca. Che impressioni avete avuto?
«Noi a Roma abbiamo fatto una partita non da Lecce, sicuramente non la nostra miglior partita. La Roma ha fatto un’ottima partita, sicuramente i valori sono diversi, quindi non sono quelle le nostre partite. Mister Fonseca propone un lavoro di un allenatore con idee diverse, un allenatore di cui si vede la mano sulla squadra. Si vede il lavoro settimanale, perché ci sono tante situazioni, tante proposte in cui si vede che c’è preparazione, e questa secondo me è una cosa importante: avere un allenatore che riesca a dare un’impronta alla squadra. Poi può piacere o no, ma si vede il lavoro, si vedono le idee, si vedono tante cose sia con la palla che senza. Noi a Roma abbiamo perso meritatamente, c’è disparità di valori, ma la Roma è una squadra che propone cose nuove».

Ora, anche se fai un altro lavoro, saprai sicuramente che la situazione in casa Roma non è delle più rosee.
«Sì, qualcosa si legge, ma sinceramente non sono molto attento a ciò che accade fuori dall’orbita Lecce. Al momento il nostro pensiero è fisso sulla salvezza, che per noi equivale a vincere un campionato».

Facciamo un salto nel passato: tu eri nella rosa della Roma che ha vinto lo Scudetto, di cui il 17 giugno è ricorso l’anniversario. Hai un aneddoto particolare di quella stagione o di quel giorno?
«Ricordare una cosa in particolare è impossibile. Io feci tutto l’anno con la Prima Squadra, aggregato da dopo il ritiro: giocavo con la Primavera ma facevo qualche panchina se c’era bisogno. Per me è stato un anno di assoluta crescita, perché allenarsi con quella Roma stratosferica in ogni elemento, dall’allenatore ai giocatori, è stato importantissimo per la mia crescita. È stato come crescere tutto insieme, quasi dieci anni in uno, a differenza di quanto succede nel settore giovanile, quindi ricordo tutto con grande piacere. Non mi sento parte dello Scudetto, ma è stato un anno inspiegabile per me».

Ultima curiosità: che allenatore era Fabio Capello?
«Era un allenatore che non parlava molto, ma gli bastavano due parole o uno sguardo per farsi capire. Una cosa che noto rispetto a quando ero giovane io: adesso i giovani sono molto più esuberanti e attaccati a cose un po’ superficiali, mentre con noi, soprattutto con quelle generazioni di allenatori, i valori dello stare al proprio posto e dell’imparare dai più grandi venivano esasperati. Poi comunque lui aveva una grande autorità, e io, che ero un ragazzo timido, al massimo gli dicevo “buongiorno”. Con lui, per un giovane bastavano poche parole per capire cosa volesse consigliarti. E i suoi consigli pratici mi sono rimasti per tutta la vita. Ma comunque la cosa importante per me era allenarmi con quella squadra. I primi mesi fai fatica, ma poi piano piano ti abitui e cresci molto».

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