Nela racconta l’uomo oltre il rettangolo da gioco
L’ex giallorosso Sebino Nela è stato intervistato da Leggo in occasione dell’uscita della sua biografia. Queste alcune delle sue parole sulle difficoltà affrontate nella vita priva e sull’esperienza alla Roma.
“Con la maglia della Roma mi sentivo più forte di Superman”
“Le paure fanno parte di noi e a volte ci aiutano a crescere. Ci fanno compagnia e per vincerle devi metterti in discussione. Per me era più semplice, io indossavo quella maglia e mi sentivo più forte di superman. Ma un calciatore è anche un uomo: il difficile arriva quando togli di scarpini. Nel libro mi sono tolto i panni di Sebino per raccontarvi anche Sebastiano. Vede, sarebbe stato facile buttare giù un frullato di scazzottate, risse e amanti. Condito magari con un po’ di dietrologia che tanto piace a Roma e alla Roma. Il calcio di oggi vive di questo: tanti bamboccioni che pensano alla macchina da comprare o alla soubrette da portare a cena. Si chiudono in quelle cuffie giganti prima della partita e ciao. Dio quanto le odio quelle cuffie: ai miei tempi si ascoltava lo stadio. I cori. Oggi si concentrano così, mah! Tutto questo non fa parte del mio modo di vivere e di pensare: per questo ho scelto di parlare di cose difficili da mettere in piazza. Dolori, sofferenze e paure appunto”.
“Si, sparai al pusher della mia ex moglie”
“Per otto anni ho lottato contro un tumore. È stata la partita più dura della mia vita ma alla fine ho portato a casa i tre punti. Se la malattia mi ha segnato? Beh sicuramente. Non è facile sentirsi in equilibrio tra la vita e la morte. Ho capito però l’importanza della prevenzione. Lo dico a tutti, il cancro è un nemico maledetto arriva e non te ne accorgi inizialmente, quando si manifesta può esser tardi e ti uccide. Ma oggi basta un’analisi per scoprirlo in tempo. Sono sereno e continuo a fare quello che ho sempre fatto fino ad oggi: correre. Spari e droga? Erano tempi difficili. Ma sì, sparai al pusher della mia ex moglie. Paura? No, solo rabbia. Lo incontrai, provò ad aggredirmi e gli sparai a una gamba. L’ho lasciato lì. A terra. Ero esasperato ma ho voluto raccontarlo per far capire che anche uno che in campo sembrava superman fuori è vulnerabile. Come tutti”.