Parla l’ex tecnico giallorosso
Il suo Foggia gli ha regalato una bella vittoria per 3-0 contro la Paganese e così il Boemo ha festeggiato al meglio le mille candeline, le 1000 panchine in carriera. Per celebrare il grande traguardo, “La Gazzetta dello Sport” ha intervistato Zdenek Zeman. Di seguito, uno stralcio delle sue parole.
Che effetto le fa essere arrivato a questo traguardo in Italia?
“Mi fa capire che gli anni sono passati… Ma che qualcosa di buono devo averlo fatto per raggiungere un numero così alto di panchine”.
Lei non ha vinto scudetti e Coppe, eppure viene chiamato Maestro da tecnici enormi, come Sacchi e Guardiola, per la mentalità offensiva, le idee e il gioco d’attacco.
“Ringrazio chi lo dice, ho sempre pensato che per vincere bisognasse segnare un gol in più dell’avversario. E questo ho sempre chiesto alle mie squadre. Non è vero che non curavo la fase difensiva, ma l’obiettivo è sempre stato imporre il gioco, cercare il gol e soprattutto divertire il pubblico. Il mio calcio non è mai stato utopia: ho sempre inseguito anch’io il risultato, ma cercando di ottenerlo attraverso lo spettacolo e la bellezza, nel rispetto delle regole e di chi faceva sacrifici per venire allo stadio. Magari non sempre ci sono riuscito, ma non ho mai smesso, né smetterò mai di pensare che questa era è e sarà sempre la strada giusta”.
Una infinità di giocatori lanciati e valorizzati: carneadi fatti diventare calciatori e talenti fatti diventare campioni…
“Totti è stato il più grande di tutti, ma il suo talento non è stato merito mio. Signori quando lo volli non aveva mai segnato e divenne un bomber implacabile. Ma la soddisfazione maggiore è stata mandare in Nazionale da club piccoli, giocatori che non ci si erano mai avvicinati”.