Serviva José Mourinho per cancellare trent’anni in un colpo e riportare la Roma a giocare una finale europea
Serviva un imperatore a Roma per uscire dai propri incubi. La quarta della sua storia, per restituire a una città anestetizzata dalla mediocrità, dalle aspettative frustrate, dalla logica del piazzamento, la voglia di inseguire un’illusione. Era stato preso per questo: per urlare in faccia alla città, ma soprattutto ai giocatori, che il tempo di accontentarsi era finito.
Gli sono bastati dodici mesi esatti dal pomeriggio di quell’annuncio shock per conquistare una finale. E non è un caso che il gol decisivo lo abbia firmato Tammy Abraham, il più mourinhano dei calciatori della Roma: lo ha coccolato nelle giovanili da manager del Chelsea, chiamandolo in estate: “Be’, che aspetti? Non ti sei stancato di veder giocare gli altri?“.
“Per noi è come la Champions per il Real o il Liverpool”, dice Mourinho, “la storia della Roma è di sofferenza“. Ma l’esorcismo è compiuto. La maledizione delle semifinali perdute si spezza. Mourinho non ha cercato la chiave per riaprire la bacheca impolverata da 14 anni di attesa, a Trigoria. Ha deciso di scuoterla, a costo di fracassare tutto. Ciò che è rimasto in piedi, è ciò che ha usato per portare la Roma dove è oggi.
A 90 minuti da un trionfo che manca da 14 anni: l’ultimo, una coppa Italia, quando il presidente era Franco Sensi, Spalletti e Totti erano ancora amici e Ranieri – commosso in tribuna dall’applauso delle due tifoserie – non solo non aveva mai allenato il Leicester ma nemmeno la Roma. Notte di sogni e di coppe: il 25 maggio la Roma giocherà contro il Feyenoord per vincere il suo primo trofeo europeo dal 1961.
Lo scrive La Repubblica.