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Un urlo giallorosso dall’Olimpico a Tirana: un fiume d’amore per la Roma!

Macinando chilometri, il sogno dei tifosi che si avvera. Cronaca di una stagione mozzafiato al fianco della Roma

Si è sentito fino a lì. Al fischio finale, un urlo giallorosso ha squarciato il cielo di Tirana. È il grido di una città che mai si era sentita così in simbiosi con la sua squadra. In una stagione da ricordare anche per il saliscendi di emozioni che i tifosi hanno provato durante questi mesi, l’unica costante è stata la passione della gente. Il popolo giallorosso è stato amante geloso, e lo è stato proprio quando tutto sembrava andare contro la Roma.

I torti arbitrali, le rimonte subite, le prime occasioni perse, alcuni veri e propri drammi sportivi. Primo fra tutti, la trasferta di Bodø, Norvegia. 3732,6 km di distanza da Roma, un freddo da far venire i brividi anche a chi si fosse solo sintonizzato davanti alla tv. Lì la svolta. I giallorossi vengono travolti da una valanga gialla come le maglie dei norvegesi. 6-1 il risultato finale. A fine gara ci sarà un duro confronto tra Mourinho e alcuni calciatori: sugli spalti i 166 tifosi presenti sono delusi sì, ma non smettono neanche per un secondo di essere orgogliosi di tifare per quel sentimento chiamato Roma.

La conferma arriva appena due settimane più tardi, con la gara di ritorno disputata nella capitale. In campo il risultato non è esaltante, 2-2, ma la risposta più importante arriva dagli spalti. I 41000 dell’Olimpico (con gli stadi ancora a capienza ridotta) sono una dichiarazione d’amore impossibile da ignorare. Nonostante gli scontri diretti a sfavore, i giallorossi riescono a piazzarsi in testa al girone, approfittando di un passo falso del Bodø. Al sorteggio l’accoppiamento è con il Vitesse.

La gara di andata è in terra d’Olanda, e su un campo indegno di una competizione europea la Roma strappa una vittoria per 1-0 con gol di Sergio Oliveira. Al ritorno è il pareggio di Abraham al minuto 89 che fa tornare a respirare i romanisti, dopo che il momentaneo pareggio degli olandesi aveva fatto tremare per qualche minuto le gambe a tutti. Passa la Roma, e il sorteggio dei quarti regala un beffardo incrocio. Di nuovo loro, di nuovo il Bodø/Glimt.

Nella capitale c’è chi la prende con una risata, chi si irrigidisce e chi si dispera. Anche stavolta saranno tutti fianco a fianco, anche stavolta la gente non abbandonerà la sua squadra. L’andata termina 2-1 per i norvegesi, e c’è chi nel resto d’Italia pensa già all’eliminazione. Non Mourinho, non i calciatori, non la Roma. Soprattutto non l’Olimpico, che accoglie la squadra con una meravigliosa coreografia, manifesto programmatico di una cavalcata leggendaria: “FINO ALLA VITTORIA”, recita uno striscione esposto alla base della Curva Sud, cuore pulsante di un unico corpo stupendo. E vittoria sarà, con la tripletta di Zaniolo e il gol di Abraham a spedire la Roma dritta in semifinale. Sotto a chi tocca, ecco il Leicester.

Inizia una folle corsa al biglietto. Il ritorno è ancora una volta in casa e tutti vogliono esserci. Fa il giro del mondo un dato impressionante: a 4 ore dall’apertura della fase di vendita, ci sono 130 000 persone collegate con la speranza di poter accaparrarsi gli ultimi tagliandi rimasti. Per quanto riguarda la gara d’andata, il piccolo settore ospiti del freddo King Power Stadium di Leicester non basta a contenere l’amore della gente romana. I 1600 posti disponibili si volatilizzano nel giro di appena venti minuti, gli altri a casa a sostenerla ognuno a modo suo. Una meravigliosa anticipazione della finale di Tirana, ma ci torneremo tra poco.

La gara d’andata termina 1-1: per la Roma il gol del suo capitano, Lorenzo Pellegrini dal Quadraro. I precedenti con le inglesi non sono esaltanti, e il ricordo delle sei reti subite contro il Manchester United lo scorso anno potrebbe far scoraggiare i più. Il popolo romanista invece guarda dentro di sé, e ritrova un orgoglio che ha sempre saputo di avere. È l’orgoglio scritto nella storia della Città Eterna, e la coreografia che accoglie le squadre in un Olimpico raramente così colmo d’amore prende spunto proprio dalla storia. “IN BRITANNIA CUNCTI NOMEN ROMANORUM HORREBANT”. In Britannia tutti temevano il nome dei Romani. Per l’Europa sta tornando fiero il colore dell’impero – come recitava uno striscione esposto ormai qualche anno fa – e nessuno può opporsi. Così è, il colpo di testa di Abraham e la difesa eroica del risultato regalano un sogno ai tifosi. È il 5 maggio, venti giorni alla finale di Tirana.

Saranno venti giorni di fuoco a Roma, e chi scrive non sta parlando soltanto della temperatura. Non si parla d’altro nella capitale. Nei bar, nelle scuole, negli uffici. Per qualche giorno ogni conversazione tra amici termina con “Tutti a Tirana”. Così non potrà essere, a causa della scellerata decisione della Uefa di far disputare la finale in uno stadio con soli 21000 posti. Ancora una volta code online, speranze, illusioni, e pochissimi biglietti ottenuti. Ma la società vuole ricompensare l’amore di una stagione intera (e di tutta una vita) dei tifosi. I Friedkin fanno di tutto per permettere l’apertura dello Stadio Olimpico. La partita è a Tirana, Albania, a 695 km di distanza dal Colosseo, ma attraverso dei maxischermi si gioca anche qui. L’amore della gente fa un salto gigantesco, infischiandosene delle leggi della fisica e giungendo, più vivo che mai, nella capitale albanese. Romanismo puro.

Eccoci alla finale. Dalle ore 21 le strade della capitale sono deserte, tutti sono davanti a uno schermo con il corpo e a Tirana con il cuore. L’atmosfera è straordinaria. I calciatori in campo sono lo specchio dei sentimenti di una città intera, e quando riesce un miracolo del genere la vittoria finale non può che essere apoteosi pura. Durante la partita all’Olimpico c’è chi si agita, chi invece resta fermo immobile dall’inizio alla fine. In pochi ridono, nessuno è rilassato. Tutti insieme però si mettono a spingere i calciatori verso la vittoria. È finita. L’arbitro fischia, non si capisce più nulla.

È un tripudio di bandiere, sciarpe e maglie bagnate stavolta non da lacrime di tristezza ma da lacrime di gioia. Un urlo giallorosso squarcia il cielo di Tirana, e la festa può cominciare. In campo alcuni calciatori si lasciano andare in un pianto liberatorio, sugli spalti neanche a dirlo. E ora la festa, le bandiere per strada, i cori, il Circo Massimo pieno. Questa squadra se lo è meritato, questa gente se lo è meritato. Il trionfo della Roma arriva al termine di un cammino da film. E stavolta non è il solito film drammatico, che si conclude con tutti in lacrime davanti allo schermo. O almeno non con quel tipo di lacrime. Stavolta c’è un lieto fine, e c’è la sensazione che ci sia un sequel ancora tutto da scrivere. Anche il prossimo anno regia di Josè Mourinho, con la partecipazione straordinaria di un popolo straordinario. Mai sola mai.

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