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Kluivert: “Sono venuto a Roma per crescere. I paragoni con mio padre? Mi motivano”

L’olandese si racconta

Justin Kluivert, esterno della Roma, si è raccontato in una lunga intervista ai microfoni del sito ufficiale del club. Tanti i temi toccati, dall’Ajax ai giallorossi passando per i paragoni col papà Patrick.

Quali sono i tuoi primi ricordi legati al calcio giocato? O al calcio in generale?
“Penso che il primo ricordo che ho sia legato a quando giocavo per l’ASV De Dijk e nella stessa squadra giocavano anche i miei cugini e i miei fratelli. Penso sia la prima cosa che mi ricordo davvero. Ovviamente mi ricordo anche di quando tiravo calci al pallone assieme ai miei fratelli. Mi è sempre piaciuto avere un pallone, ci giocavamo molto”.

Quando hai iniziato a giocare più seriamente, quali erano i giocatori che prendevi da esempio?
“Ovviamente, mio padre era uno dei giocatori a cui mi ispiravo quando ero piccolo – e mi ispiro tuttora a lui. Ma ammiravo anche altri giocatori come Cristiano Ronaldo. È un giocatore da prendere ad esempio, così come Lionel Messi, ovviamente”.

Quando hai iniziato a giocare, giocavi sempre in squadre organizzate? Oppure giocavi anche, ad esempio, al parco con gli amici?
“Certamente. Giocavo in contesti organizzati ma andavo anche a giocare al parco. Nella casa in cui vivevamo, la recinzione sul retro confinava con un campetto. Quindi scavalcavamo la recinzione e ci mettevamo a giocare all’aria aperta. Giocavamo a calcio e anche ad altri sport assieme agli altri ragazzi del quartiere. Credo che questo ti renda più forte – perché impari molte cose”.

Sei sempre stato consapevole del fatto che tuo padre fosse una stella del calcio?
“Ci ho messo un po’ di tempo per capirlo, ovviamente. All’epoca, anche quando ne ho preso coscienza, era comunque qualcosa di strano per me, perché per me era semplicemente mio papà. Non lìho mai visto giocare – almeno non nel picco della carriera. C’erano molte persone che lo ammiravano per i traguardi che aveva raggiunto. Lo ammiravo e lo ammiro ancora, ma lo vedevo in maniera diversa”.

Pensi che le persone ti abbiano trattato in maniera diversa, considerato che giocatore è stato tuo padre?
“Sì, penso di sì. Forse quando giochi da piccolo, magari quando hai 10 anni, molte persone parlano troppo, pensano che tu venga scelto perché sei figlio di tuo padre o cose del genere. Ma è una cosa che mi ha sempre motivato. Mi ha reso quello che sono oggi, mi ha reso un giocatore migliore, perché mi ha motivato giorno dopo giorno, per dimostrare a queste persone che nulla mi era dovuto solamente per il cognome che portavo”.

È interessante, perché non tutti reagirebbero allo stesso modo – trasformandolo in uno stimolo.
“Per me lo è sempre stato”.

Hai sempre pensato di diventare un calciatore professionista? Hai mai avuto dubbi a riguardo?
“Sì, ho sempre pensato di voler diventare un calciatore professionista. L’ho sempre sognato. A una certa età, senti di poter diventare un grande giocatore. Ma, sì, quando sei più giovane e giochi nell’Ajax, gli allenatori ti dicono cose del tipo: ‘in questa squadra, ci sono forse due o tre giocatori che ce la faranno’. Poi in spogliatoio ti guardi attorno e pensi: ‘Sarò io oppure no? Sono uno dei tre migliori giocatori di questa squadra?ì Ma questo ti motiva anche a lavorare più duramente ogni giorno. Ti motiva a essere migliore degli altri”.

Com’è stato crescere nel vivaio dell’Ajax? È considerata da molti una delle migliori scuole calcio d’Europa.
“Penso che lo sia, penso che sia la migliore, soprattutto perché è sotto gli occhi di tutti come i giocatori del vivaio rendano al massimo anche in prima squadra. Le squadre giovanili sono organizzate molto bene. In termini di alimentazione, istruzione, tutto è perfetto. E il livello di calcio è il migliore d’Olanda e credo anche d’Europa”.

Qual era la tua giornata tipo lì? Quando avevi 15 anni, ad esempio.
“Solitamente la giornata iniziava con la scuola alle 7:30. Venivano a prenderti con il pulmino e ti portavano a scuola. C’era un pulmino speciale per i giovani del vivaio. Li portava a scuola e li portava alla foresteria, dove bisognava studiare. Dopo la scuola c’era il pranzo, poi c’era l’allenamento e poi si cenava nuovamente nella foresteria. Dopo cena il pulmino riportava tutti a casa. Arrivavo a casa attorno alle 20:30. Funzionava tutti i giorni così. Tutto era organizzato al meglio”.

Sembra una giornata abbastanza intensa e sembra che tu abbia quindi stretto legami importanti con i tuoi compagni di squadra.
“Sì, penso che in quel periodo avessimo tutti un ottimo rapporto con gli altri compagni di squadra. Sono ancora in contatto con molti di loro. Alcuni sono ancora nell’Ajax e poi c’è Matheus Pereira, che è alla Juventus e di cui sono amico. Potrei nominarne molti altri”.

È un periodo della tua vita a cui ripensi con affetto?
“Penso sia bello e divertente ripensare a quei momenti. Pensare a dove abbiamo iniziato e a dove siamo ora”.

Com’è stato per te arrivare in prima squadra? È successo tutto rapidamente?
“Sì. È stato un sogno che diventava realtà. Giocare all’Amsterdam Arena era un sogno che coltivavo sin da bambino. Era l’unica cosa a cui pensavo. E sono riuscito a realizzare quel sogno. Era il mio obiettivo principale e sono contento di averlo raggiunto. È la cosa che sogni ed è il motivo per il quale lavori così duramente. Penso di aver lavorato duramente per dieci anni per raggiungere quell’obiettivo, avevo appena sette anni quando ho iniziato e l’esordio è arrivato a 17 anni”.

È stato un grande salto passare dal calcio giovanile al calcio professionistico?
“Ho sicuramente capito che il calcio professionistico era molto diverso da quello giovanile! È difficile da spiegare a parole. Il calcio è completamente diverso quando arrivi in prima squadra, è un tipo di gioco diverso. Sono tutti…forti. Sono tutti intelligenti. Tutti hanno una grande energia, è tutto molto diverso. È tutto diverso ed è difficile fare paragoni. A livello giovanile le cose sono più semplici. Poi fai il grande salto e ti chiedi cosa stia succedendo. È tutto più veloce, la fisicità è maggiore. Ma impari rapidamente e questa è una cosa molto positiva”.

Cosa ricordi di più del periodo in prima squadra? La cavalcata in Europa League? I gol che hai segnato?
“Di tutte le cose, direi il mio esordio. Ma mi ricordo bene anche tutti i gol che ho segnato con quella maglia, soprattutto quelli più belli. Ed è stato bello far parte del gruppo che è arrivato a giocarsi la finale di Europa League”.

Arriviamo, quindi, all’estate del 2018. Quando e come hai deciso di lasciare l’Ajax?
“All’inizio non pensavo davvero ad andare via. Poi sono arrivate alcune offerte interessanti e mi si sono presentate delle opportunità delle quali ho dovuto parlare assieme alla mia famiglia e a chi mi stava vicino. Non è stata una decisione semplice, senza dubbio. Perché avevo giocato per tutta la vita nell’Ajax e lasciare l’Ajax sarebbe stato sicuramente una scelta importante. Alla fine ho pensato che sarei stato in grado di fare il grande passo. Quindi ho preso la mia decisione e tutti mi hanno appoggiato al 100%”.

Quindi avevi diverse possibilità. Cosa ti ha convinto della Roma?
“In parte è stato il club in sé. Avevo visto la Roma raggiungere le semifinali di Champions League la stagione precedente. È davvero un grande club. È un club meraviglioso. Era una grande opportunità per me. Poi pensi anche alla città, una città bellissima, e a quanto sia bello poter vivere in una città del genere. Ho pensato, poi, che alla Roma avrei potuto crescere come calciatore, quindi era una situazione vantaggiosa a prescindere”.

Quando sei arrivato in Italia hai pensato che, come nel passaggio dal calcio giovanile al calcio professionistico, passare dal campionato olandese alla Serie A fosse stato un altro grande passo?
“Sì, è stato un altro grande cambiamento – ma alla fine è quello che vuoi. Qui il calcio è più fisico e anche più tattico. Ma vuoi riuscire a calarti al meglio nel contesto, adattarti e crescere. Per questo motivo ho deciso di fare questo passo avanti, per mettermi alla prova ad un livello più alto. Penso sia quello che sto facendo ora – e voglio fare ancora meglio”.

Come valuti la tua prima stagione alla Roma?
“Ho imparato molto. Come ho detto, tutto cambia quando passi dal calcio giovanile a quello professionistico e tutto cambia di nuovo quando arrivi in Serie A. Ho dovuto ambientarmi e le cose non sono andate sempre bene – anche perché la squadra ha avuto qualche difficoltà. Penso non ci fossero le condizioni per sperimentare qualcosa di nuovo con i diversi giocatori, ma questo fa parte delle cose che impari. Ma sono ancora giovane e devo passare anche attraverso momenti negativi per raggiungere gli obiettivi che mi sono prefissato. Questo è quello che penso”.

È giusto dire che hai imparato molto in campo ma che hai anche imparato molto fuori dal campo? Vivere per la prima volta lontano da casa.
“Sì. Assolutamente”.

Hai sempre pensato che saresti andato a vivere da solo? Anche questa è una decisione importante.
“Sì, l’idea era quella. Ma va bene così, anche perché la mia famiglia e i miei amici vengono a trovarmi periodicamente”.

E per quanto riguarda l’italiano? So che hai parlato un po’ in italiano nell’intervista post-partita dell’altra settimana.
“Sì. È difficile, ma sto cercando di impararlo. Lo scorso anno si trattava di imparare le basi, ma voglio migliorare. Ora capisco meglio ma voglio migliorare anche nel parlato”.

Questa stagione ha segnato un nuovo inizio: come ti trovi con Paulo Fonseca?
“Le impressioni erano buone sin dall’inizio. Quando è arrivato, era subito chiaro quale fosse il suo obiettivo. ed è sempre chiaro quando parla e spiega le cose. Gli piace molto lavorare con la palla in allenamento e questa è una cosa che a noi giocatori piace. Credo che insieme potremo certamente ottenere risultati importanti”.

Sei stato impiegato molto in quasi tutte le partite di questa stagione. Quanto è stato importante per te?
“Penso sia stato molto importante. Pensando allo scorso anno e guardando alla nuova stagione, ho pensato: ‘Ok, questo deve essere il mio anno’. Non posso rimanere in panchina anche in questa stagione, perché non è quello il tipo di giocatore che voglio diventare. Se reagisci in maniera negativa a un momento o a un commento negativo… Se non cerchi di fare qualcosa a riguardo, le cose non cambieranno. Ma se provi a cambiare, se pensi ‘Cosa posso fare per cambiare la situazione?’, ci sono più possibilità che tu riesca a cambiare le cose. È quello che cerco di fare sempre”.

Cosa hai pensato quando gli Europei sono stati rinviati? Pensi che questo ti offra una possibilità in più per prenderne parte?
“Sicuramente. Ovviamente speravo di riuscire a partecipare già quest’anno e stavo lavorando duro anche per questo obiettivo oltre che per la Roma e per me stesso. Con il rinvio, avrò più tempo per prepararmi. Avrò un anno in più di esperienza e questo può essermi d’aiuto. Dovrò fare in modo di dare il massimo con la Roma per riuscire a ritagliarmi un ruolo da protagonista anche con l’Olanda e darò il 100% per questo”.

Prima della sospensione sembravi aver intrapreso una striscia positiva a livello di continuità e di gol, come quello contro il Gent.
“Sì è vero, stavo facendo bene, dando il mio contributo con gol importanti ed è questo che voglio sempre fare per a squadra. Quando sono arrivato mi sono fissato come obiettivo di segnare in maniera costante, sapevo che avrei dovuto imparare molto e superare degli ostacoli duri. Ho anche subito un infortunio molto fastidioso ma sono tornato più forte e in fiducia. E più ti senti in fiducia più riesci a tirare fuori il meglio da te stesso e viceversa. Ho segnato alcuni gol importanti come quello di Gent ma poi tutto si è fermato, com’è giusto che fosse. Ora sono ancora più affamato e voglioso di farmi trovare pronto quando si ripartirà”.

Com’è allenarsi da soli? È difficile trovare le giuste motivazioni?
“Io sono sempre motivato. Ho grandi obiettivi e questi mi mantengono sempre motivato. Mi sto allenando ancora più duramente non solo per mantenermi in forma ma per continuare a migliorare”.

Ti sembra strano che il Governo abbia dato il via libera agli allenamenti per gli atleti individuali dal 4 maggio mentre i calciatori devono attendere fino al 18?
“Sì mi sembra decisamente strano, ovviamente tutti vogliamo ricominciare il prima possibile. Non mi sembra ci sia molta differenza tra il rischio di correre individualmente in un parco con altra gente intorno a noi e il farlo a Trigoria con i soli compagni di squadra, anzi… Ma non spetta a noi decidere. Vogliamo tornare a giocare il prima possibile ma la decisione non dipende da noi. Attendiamo le scelte e ci faremo trovare pronti”.

Tornando a te, in questa stagione hai cambiato numero di maglia. Perché sei passato al 99?
“Quando sono arrivato qui, ho scelto di giocare con il numero di maglia del mio amico Abdelhak Nouri, a cui penso sempre. Mi sono detto che, sebbene non lo avessi comunicato pubblicamente, avrei giocato con il numero 34 per un anno. Volevo farlo per lui, era un modo per essergli sempre vicino. Poi, questa estate, è arrivato il momento di cambiare. Volevo il numero 11, a dire la verità, ma ce l’ha Aleksandar Kolarov. Gli ho chiesto di darmelo un centinaio di volte, ma non è stato possibile”.

Glielo hai davvero chiesto? Sei stato molto coraggioso.
“Sì, sì. Ma non ha ceduto. Avevo pensato anche ad altri numeri, ma non erano disponibili neppure quelli. Quindi ho pensato che avrei giocato con il 99 sulla schiena. Sono nato nel 1999, l’ho scelto per questo motivo”.

Ha rappresentato un nuovo inizio per te? Numero nuovo, persona nuova.
“Un po’ sì”.

Hai indossato il 34 in onore di Appie Nouri. Eri in campo al momento dell’incidente? Come si può riuscire a metabolizzare una cosa del genere?
“È molto difficile, perché è successo tutto molto velocemente ed è stato strano vedere come si è svolto il tutto. È chiaro che all’inizio ho sperato per il meglio, ma poi è successo il peggio. È molto triste, per la famiglia e per i giocatori che erano in campo assieme a lui in quel momento. È qualcosa di impossibile da dimenticare, perché non sono cose che succedono nel calcio. Non succedono mai, a dire il vero. È qualcosa che non potrò mai dimenticare”.

Pensi che abbia cambiato il modo in cui vedi le cose o il modo in cui vedi la tua carriera?
“In un certo senso, sì. Se ci ripenso, mi ha insegnato a godermi il presente, a godermi ogni momento, perché non si sa come possono andare le cose nella vita. È sicuramente un insegnamento che ho tratto da quell’incidente”.

È semplice cercare di isolarsi dalla pressione? Cosa fai per riuscire a “staccare” mentalmente?
“Mi piace stare a casa. Mi piace guardare film o giocare alla PlayStation. Mi piace trascorrere del tempo con la mia famiglia, è un bel modo per rilassarmi. È bello non fare niente. Guardare film e rilassarmi con la mia famiglia”.

Qual è il rapporto con i tuoi fratelli? Siete molto legati?
“Andiamo tutti molto d’accordo. Ho due fratelli nati dai miei stessi genitori e in più ho un fratellastro più piccolo da parte di mia madre e un altro fratellastro più piccolo da parte di mio padre. È un po’ complicato, ma andiamo tutti molto d’accordo. Voglio bene a tutti loro ed è bello trascorrere del tempo insieme”.

Come diresti di esserti inserito nella squadra? Sei uno a cui piace scherzare? Oppure sei uno serio?
“Direi che probabilmente sono quello serio!”.

Uscendo dal calcio, hai detto che ti piacerebbe lanciare un tuo canale YouTube: come progetti di farlo?
“Sì mi sono concentrato un po’ su questo progetto, soprattutto in questo periodo di isolamento. Ho messo insieme diversi video che avevo girato, sulla mia vita attuale, sul mio passato e sui miei obiettivi futuri. È qualcosa che vorrei condividere con le persone, per mostrare un po’ della mia vita al di fuori del calcio, con un occhio rivolto anche al campo. Mi piacerebbe portare gli spettatori nel dietro le quinte e offrire qualcosa di diverso sulla vita di un calciatore. Vi terrò aggiornati su questo e spero anche di poter dare una motivazione ulteriore a giovani che si avvicinano al calcio”.

Uno dei tuoi fratellastri più piccoli, Shane, si sta facendo notare nel mondo del calcio. Gli dai consigli?
“Sì, certo. È giovane ma ha già il suo telefono e cose del genere e mi scrive spesso. Lo aiuto come posso, ha un padre che ha fatto moltissimo nel calcio e ora ha un fratello che gioca, in cui può immedesimarsi. Mi fa moltissime domande e capisco cosa stia vivendo”.

E quando hai domande tu, quando hai bisogno di consigli calcistici, ti rivolgi prevalentemente a tuo padre?
“Sì, è la persona a cui mi rivolgo di più. Perché ha vissuto quello che sto vivendo io. Mi è sempre stato d’aiuto”.

Ovviamente ti ha aiutato molto, in quanto fonte di consigli e motivazioni. Ma, a un certo livello, non ti infastidisce il fatto che tutti – soprattutto in interviste come queste – vogliano in qualche modo paragonarti a tuo padre? Che tutto quello che si dice su di te viene sempre rapportato con quello che è stato tuo padre?
“No, non mi preoccupo di cose del genere. Perché penso che quello che abbiamo sia qualcosa di molto bello e per me è fantastico avere qualcuno che ha già vissuto quello che sto vivendo io. Qualcuno che può mostrarmi come affrontare le cose, darmi consigli e quant’altro. È tutta la vita che le persone fanno paragoni. Ma, come ho detto, questa cosa mi ha sempre motivato, mi ha spronato a migliorare, a cercare di arrivare al suo livello e magari, chissà, un giorno potrò diventare anche più forte di lui”.

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