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Mourinho: “Dopo anni penso molto di più al tifoso comune. Difficile accettare lo spreco del talento”

Particolare intervista per lo Special One

Lo scorso 29 marzo, nella suggestiva cornice del Vestibolo della Biblioteca Apostolica Vaticana, si è svolto un dialogo tra il cardinale José Tolentino de Mendonça, Archivista e Bibliotecario di Santa Romana Chiesa, e l’allenatore della AS Roma calcio, José Mourinho. Ecco alcune dichiarazioni del tecnico giallorosso:

“Le esperienze buone, quelle meno buone, non hanno prezzo. A volte penso che l’unica cosa che non mi piace molto dell’avanzare degli anni è che ho un dolorino qui, un dolorino lì, che mi sveglio un po’ più stanco, ed è l’unica cosa che davvero non mi piace dei miei 59 anni, ma se devo compararmi come persona, come allenatore, che sono due cose diverse, bene se devo compararmi con 20 anni fa… mi dispiace molto non aver avuto 20 anni fa le esperienze, buone e meno buone, e le conoscenze che ho oggi.

Ma a livello umano, ogni giorno è un giorno nuovo, e ogni persona è una persona nuova… io mi rifiuto sempre di fare paragoni tra giocatori. In questi ultimi 20 anni ne ho avuti tanti, e ciascuno è unico, a livello tecnico possiamo trovare dei punti di comparazione, ma fare paragoni tra persone è una cosa che odio fare. Ogni persona è diversa dall’altra, e anche il mio modo di pormi con loro è diverso: perché una cosa è essere un allenatore di 35 anni di calciatori di 30, altra cosa è essere un allenatore di 59 anni di giocatori di 25. Mi sento in una posizione così privilegiata e mi sento così felice in questa prospettiva. Quando uno è giovane, è all’inizio della carriera, pensa di sapere tutto. E quando oggi vedo le generazioni più giovani con questo tipo di pensiero, non lo critico… ci sono passato da lì, la maturità è una cosa fondamentale. Invece lo sport di alto rendimento conosce momenti di vera crudeltà.

Siamo pagati per vincere. Gli atleti, non gli uomini, sono pagati per vincere. Stiamo parlando di alto rendimento, e a volte ci sono decisioni nella gestione di una squadra che hanno qualcosa di crudele: non c’è il tempo di lasciare maturare, di lasciare crescere…
L’errore si paga. Se commetto un errore, lo pago con l’esonero. Se un giocatore commette un errore, lo paga non giocando a beneficio di un altro. C’è qualcosa di crudele, ma non possiamo lasciare che la natura del nostro lavoro si sovrapponga a quello che siamo come persone. Ce l’ho ben chiaro questo. Cerco di aiutare gli altri e me stesso a essere migliore. Una cosa difficile per me da accettare è lo spreco del talento, è una cosa che ancora oggi dopo 30 anni di calcio, è difficile per me da accettare. A volte, però, lo spreco di talento è legato al percorso di vita che alcuni giocatori hanno avuto, e in questo senso dobbiamo cercare di essere pedagoghi fino in fondo. Lo sport di alto rendimento, in particolare il calcio, che è lo sport più industrializzato a tutti i livelli, ha qualcosa di crudele.

Penso molto di più al tifoso comune che sorride perché la sua squadra ha vinto, alla sua settimana che sarà migliore perché la sua squadra ha vinto. Continuo a essere un “animale da competizione”, per così dire, continuo a voler vincere come o più di prima, ma prima mi concentravo su me stesso…

Nel percorso verso una partita, intendo l’uscita dall’hotel, la discesa dal pullman, l’arrivo allo stadio, la passeggiata verso lo spogliatoio, la camminata dallo spogliatoio al campo prima dell’inizio della gara c’è molta spiritualità in tutto questo, non è mai una routine, per quanto si giochi decine di volte nello stesso stadio, e si faccia sempre lo stesso percorso, è un momento che ha qualcosa che non si vede, ma che si sente tanto. Lo ritengo di una bellezza enorme e ritengo che il giorno che smetterò di allenare, che spero non sia presto, sarà forse la cosa che più mi mancherà: sentire questa dimensione che mi porta verso direzioni che non ho mai condiviso con nessuno, e che oggi forse condivido per la prima volta. Camminare verso la partita e parlare con Lui…”

(Al termine del colloquio il cardinale Tolentino ha mostrato a Mourinho, un Canzoniere del XV – XVI secolo che raccoglie le “cantigas” medievali (Vat.lat.4803), oltre 1200 poesie in lingua galaico-portoghese. «È un’emozione molto grande — ha detto il Bibliotecario apostolico vaticano — poter riconoscere in questo libro di 500 anni fa, alcune parole che ancora oggi in portoghese continuano a essere fondamentali per noi».

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