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Non è stata una partita, ma una dichiarazione d’amore

Una serata che i presenti all’Olimpico ricorderanno per sempre

Non stiamo parlando del campo, del Bodø/Glimt, della rimonta, di José Mourinho, dei gol di Abraham o della rinascita di Zaniolo, nemmeno di una semifinale raggiunta in Conference League. Togliete di mezzo il contesto europeo, l’importanza della partita o della competizione, non troverete la chiave giusta. Anzi, andreste fuori strada.

Perché se cercate una motivazione razionale e oggettiva, una “risposta” all’Olimpico visto ieri sera, non la troverete. Non esiste. Perché l’amore non è razionale, non coinvolge la mente, ma fa vibrare il cuore e sussultare i polmoni, accartocciare lo stomaco. L’Olimpico di ieri non era un semplice fattore ambientale, una somma di decibel o di tonalità cromatiche.
È stata una lettera d’amore, senza inizio e senza fine, rumorosa e passionale, non scritta e nemmeno sussurrata, dirompente, commovente e penetrante.

Non c’era una coppa da alzare, nemmeno la più prestigiosa delle competizioni a farci sognare. C’eravamo noi e la Roma, che aveva bisogno di noi quanto noi avessimo bisogno di lei. Quello bastava, quello è bastato per non ammettere altri invitati al ballo.
Un accompagnamento sonoro che era parte integrante della partita, da inserire negli highlights a fine gara come un’azione pericolosa, anzi, come il più bello dei gol.

Perché “se i tuoi colori sventolo, i brividi mi vengono”. E si faceva fatica a contare il numero delle bandiere presenti ieri, non erano altre che delle rose rosse sventolate al cielo, un’offerta d’amore, un abbraccio avvolgente ad ogni botta di polso.
“Non mi stanco mai di te”. E pensare che c’è stato chi, ancora colmo d’amore ed emozione, mentre faceva ritorno alla macchina, si era già assicurato il posto per la semifinale.
“Forza Grande Roma Alé”. Perché alla fine, è tutto qui. L’amore non prevede ritorno, amore chiama amore. E ieri ne eravamo pieni.

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