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Freddi: “Andai più volte in panchina, ma il debutto con la Roma non è mai arrivato”

“Ora ho preso il patentino da tecnico e a breve dovrei iniziare ad allenare una squadra, a giorni dovrebbe essere ufficiale”

Gianluca Freddi, ex giocatore della Roma Primavera e del Lecce, che mai riuscì ad esordire in prima squadra a causa di un infortunio, ha rilasciato un’intervista all’AS Roma Match Program di Lecce-Roma. Di seguito l’intervista.

“Si parlava di me come uno dei migliori difensori del 1987 d’Italia. Tra il 2005 e il 2007 ero spesso aggregato alla prima squadra e spesso Spalletti mi portava in panchina, convocandomi regolarmente. E ci fu una volta che andai ad un passo dall’esordio…”.

Quanto andò vicino a debuttare tra i professionisti?
Ero pronto a giocare. Si trattava di un ottavo di finale di Coppa Italia, nel 2006. Per tutta la settimana si parlava di un mio impiego, in allenamento mi preparai per questo. Fino a quando arrivammo al giorno dell’allenamento di rifinitura….

E lì cosa accadde?
Uno scontro di gioco con Okaka mi fece uscire la spalla. Quell’episodio, mi costrinse a restare fermo qualche giorno. Dato che si trattava della seduta precedente alla partita, saltai quella sfida. Peccato. Avrei potuto vantare anche io una Coppa Italia nella mia bacheca personale, considerando che la Roma vinse quel trofeo in finale con l’Inter.

Da quel momento in poi?
Andai più volte in panchina, ma il debutto con la Roma non arrivò più. Riconosco, comunque, che era una Roma molto forte, con difensori di livello internazionale come Mexes, Chivu, Juan, lo stesso Ferrari. In quegli anni si alternarono tanti campioni al centro della difesa. E non era facile affermarsi in una squadra del genere. Dovevi essere di un livello superiore, probabilmente io non ero forte abbastanza da poter ambire a un ruolo di primo piano in quel contesto.

Ha partecipato anche a un paio di ritiri estivi di quegli anni.
Sì, in quello del 2007 a Trigoria condivisi la stanza con Daniele De Rossi. Lui è sempre stato un ragazzo straordinario. Il papà Alberto mi ha allenato, mi ha fatto migliorare e con lui ho vinto un meraviglioso scudetto primavera.

Successe a Lecce, nel 2005. Fu quasi un anticipo del suo futuro.
Sì, Lecce mi portò fortuna in quell’occasione con la Primavera e poi dieci anni dopo – nel 2015 – ci tornai da giocatore fatto, professionista, in Lega Pro. Era un Lecce in ricostruzione, con la nuova proprietà da poco insediata. Avevano un progetto ambizioso, per riportare il club nella massima serie. E ci sono riusciti, nel giro di quattro anni.

In qualche modo anche lei pose le basi per il rilancio.
Sì, soprattutto il primo anno. Arrivammo terzi in classifica con l’accesso ai playoff. Disputammo un ottimo torneo, fino alla semifinale nel derby contro il Foggia di De Zerbi. Purtroppo perdemmo.

L’anno successivo?
Per me fu complicato, lì iniziarono i guai fisici. Mi operai, ma l’intervento non andò benissimo. I dolori non mi abbandonarono mai del tutto, tanto che dopo passai al Siena. Però durò poco anche lì, dopo cinque partite mi fermai. Successivamente, ho deciso di smettere.

È stata una decisione sofferta?
Un po’, sì. Più che altro per l’età. Oggi ho 32 anni, avrei potuto fare qualche altra stagione a buon livello. Di ragazzi dell’87 che giocano ce ne sono ancora tanti. Pure Fazio nella Roma, ad esempio.

Nemmeno nelle serie più basse ci ha provato?
Tra dilettanti e altre categorie mi sono imposto io di non giocare. Non ci sono le condizioni economiche e tecniche. Ho preferito fare un passo indietro, anche perché da padre ho responsabilità diverse e ho bisogno di certezze.

Cosa fa oggi?
Ho preso il patentino da tecnico e a breve dovrei iniziare ad allenare una squadra, a giorni dovrebbe essere ufficiale (con l’Atletico Lodigiani, ndr).

Il calcio resterà la sua occupazione principale, dunque.
Assolutamente. È la mia passione, lo sport a cui ho dedicato la vita. Sono soddisfatto di quello che ho fatto in carriera. Più di duecento presenze tra i professionisti sono comunque tante. Me le tengo strette.

La Roma cosa rappresenta, invece?
La squadra per cui provo un sentimento fortissimo, che amo. È una tradizione di famiglia, siamo sempre stati abbonati nel corso degli anni. Quando posso, vado a vedere la partita allo stadio. Volevo andare anche per l’addio di De Rossi, ma mia moglie era nei giorni precedenti al parto e non era il caso. Porterò sicuramente mia figlia in futuro, quando sarà un po’ più consapevole.

L’ultima volta che è stato all’Olimpico da tifoso?
Roma-Liverpool, semifinale di ritorno di Champions League nel 2018. Ero in Tribuna Tevere. Andammo vicini alla rimonta, per un gol non agguantammo i supplementari.

Le piace la squadra di Fonseca?
Molto. È una Roma che gioca un calcio aggressivo, propositivo, che piace a noi romanisti. È molto interessante anche dal punto di vista tattico. Lo dico da allenatore. Peccato per la sconfitta con l’Atalanta, ma sono sicuro che contro il Lecce arriverà il riscatto. D’altronde, c’è tanta differenza di qualità. Il Lecce di Liverani è organizzato, ma per valori tecnici non può competere con le squadre di media-alta classifica. Io tiferò Roma, ovviamente. Domenica e per sempre.

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