Viaggio nei primi tre mesi del gm a Roma
Pinto e a capo. Senza se e senza ma. Perché io non ho ancora gli strumenti per affermare che il gm portoghese sia il male della Roma. A dire il vero, non ho neppure quelli adatti per dire che non lo sia o che addirittura sia il bene del club. E, per questo, aspetto. Aspetto di vedere, di capire, di valutare se il professionista è di spessore oppure se è un bluff; se sa fare il suo mestiere oppure se è uno sprovveduto. Già adesso, però, so che non userò (mai) il trucco di attaccare lui per non attaccare (per discolpare?) un altro dirigente della Roma. A chi tocca nun se ‘ngrugna, giusto?
Non sono passati neppure tre mesi dal suo arrivo nella Capitale, non si hanno tracce certe di suoi disastri o di colpi da maestro eppure meno di novanta giorni sono bastati a Tiago Pinto per accomodarsi (mediaticamente) sul banco degli imputati. Non sarebbe il caso, prima di assegnargli ogni tipo di colpa, aspettare di verificare il suo operato? No, meglio portarsi avanti con il lavoro; meglio guidare già oggi il coro e il carro degli scettici, anzi dei delusi. Ma qual è, analizzando la cronaca, cioé i fatti, la reale colpa di Pinto palesata nella sua ancor giovane esperienza alla Roma: aver toppato finora ogni tipo di mossa professionale (quali?) oppure non aver curato a dovere le pubblic relation capitoline?
Chi oggi ritiene che Pinto sia il male della Roma – presente e futura – fa una cosa normale, comprensibile e addirittura giusta se non ha il compito/dovere di difendere gli interessi del club. Il discorso sarebbe diverso, invece, qualora le accuse, le critiche partissero da dentro la Roma per allungarsi poi su tutta la città. Ecco, il nodo della faccenda sta tutto qui. Complicato scoprirlo? Dipende. Forse è facile facile, invece. Punto e a capo.