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Grazie Mou, è stata un’incantevole illusione

Il saluto di un Mourignano.

4 maggio 2021, ore 15.09.
«L’AS Roma è lieta di annunciare che José Mourinho sarà il nuovo Responsabile Tecnico della Prima Squadra a partire dalla stagione 2021-22!»

Da quel tweet che squarciò il torpore di uno scialbo pomeriggio di fine stagione, di acqua ne è passata sotto i ponti della Capitale. Fiumi di emozioni. Gioie, dolori, speranze e rimpianti.

Quel breve comunicato senz’altro ebbe l’effetto ambito. Un elettroshock nervoso che pervase le spine dorsali dei tifosi giallorossi, così come la paura negli acerrimi rivali.

La Roma è pronta a rialzare la testa. Il petto dei tifosi giallorossi torna a gonfiarsi di una boccata d’orgoglio di remote memorie. Perché Josè Mourinho è sinonimo di ambizione. Di feroce agonismo. Di vittoria.

E così è stato.

Nonostante un primo mercato, non esattamente faraonico, la Roma va subito a dama. Sotto la guida del condottiero portoghese, i giallorossi trionfano in una competizione europea dopo la bellezza di 61 anni. E’ la notte di Tirana. E’ una coppa alzata al cielo. E’ la città che torna a tingersi di giallo e rosso. E’ storia.

Ma Mou non è sazio. Neanche il tempo smaltire la sbornia, è lì a serrare i ranghi. Perché la vittoria in Conference League non deve essere il punto d’arrivo, ma il primo tassello per una reale consacrazione nell’olimpo dei grandi.

Parole, ahinoi, portate via dalla brezza estiva del cielo albanese.

Il secondo capitolo firmato Josè, infatti, parte con un mercato all’insegna della magrezza. I lacci del fair play finanziario bloccano le già tremolanti mani di Tiago Pinto. Ma è ancora un colpo d’effetto a inebriare occhi e spirito dei romanisti: si chiama Paulo Dybala.

E’ dal delicato estro della Joya che prende forma il sogno giallorosso. L’impenetrabilità di Smalling e la dominanza di Matic completano l’ossatura del nuovo disegno di Mou. Una creatura arcigna, scorbutica, spesso sgraziata, ma tremendamente dura da battere.

La Roma gioca su due fronti. Ma la rosa corta, i troppi infortuni e qualche “discutibile” decisione arbitrale in campionato impongono una scelta. E questa ricadrà sul sogno più sfrontato.

Budapest.

Una meta apparentemente fuori portata verso cui Mou ci ha condotto, accompagnandoci per mano. Rendendola sempre più reale, a suon di grandi vittorie, rimonte epiche e barricate medievali. Lottando su ogni pallone, con tutto quello che avevamo.

La serata più bella, la notte più buia. La sconfitta più amara, il sopruso più ingrato. Così il luccichio dell’esercito giallorosso viene inghiottito dalle tenebre del cielo d’Ungheria.

Quella sera sarebbe dovuta finire diversamente.
O, forse, quella sera sarebbe dovuta finire e basta.

Perché in quell’asettico garage Mou ha assaporato l’acre gusto della sconfitta. Ha tastato il viscidume dell’ingiustizia. Si è ritrovato vulnerabile e solo. Si è riscoperto romanista.

La crepa.

Da quel 31 maggio nulla è stato più lo stesso, nonostante nessuno volesse accettarlo. Ma mentre il carro inesorabilmente si svuotava, è partito un funereo valzer di silenzi societari e livorosi attacchi esterni. Vuoi tramite un organo federale, su una malinconica pagina di giornale o davanti a un sudicio microfono.

D’altronde, quando il leone è ferito, il momento si fa propizio per gli sciacalli.

Ed ecco che la creatura di Mou si trasforma in un mostro. Un sovversivo Frankenstein che non risponde più ai dettami del suo demiurgo.

Mercato a zero, operazioni grottesche, richieste inascoltate, dirigenti dimissionari e sconfitte roboanti non hanno fatto altro che accompagnare questo progressivo corteo del disincanto, fino al colpo mortifero.

16 gennaio 2024, ore 9.24.

«L’AS Roma annuncia che José Mourinho e i suoi collaboratori tecnici lasceranno il Club con effetto immediato».

Altro elettroshock, ma questa volta l’effetto è diverso.

Fine di un sogno, per molti.
Fine di un’ipnosi collettiva, per altri.

Sarà, ma illudersi di esser grandi, al punto di crederci davvero, non è mai stato tanto bello.

Grazie Mou.

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